E' successo di nuovo. Ieri un'insegnante mi ha detto: - Ma ne inventi una ogni giorno? Dove trovi il tempo? -
Le rispondo qui, con le stesse parole che usavo per guidare le mie studentesse in Scienze della formazione primaria quando erano alle prese con la progettazione del "segmento didattico".
Quando pensi a qualcosa che devi insegnare, accerti i prerequisiti, definisci gli obiettivi, i contenuti, le possibili attività tenendo conto di mezzi e strumenti a disposizione, stabilisci come valuterai. Progetti.
Quando hai finito, ti devi fermare e devi ricominciare da capo, facendoti due domande:
- come posso "aprire" in modo che non si parta da me, dalla "spiegazione"?
- come posso sviluppare ciò che ho pensato facendo in modo che i bambini siano attivi, si divertano e lavorino insieme?
Allora entri nella fase più interessante della tua progettazione didattica: lavori sulla fase di apertura/perturbazione.
Pensi a come puoi dare avvio al percorso senza anticipare risposte, ma ponendo problemi, stimolando la voglia di interrogarsi.
Pensi a come accendere la curiosità che fa nascere la motivazione, il motore di tutto.
Poi ripensi le attività.
Cerchi di trovare il modo perchè i bambini non debbano stare solo seduti al loro posto, ognuno nel suo banchetto, a fare da soli in attesa del tuo controllo.
Cambi la tua posizione. Pensi a un gioco, meglio se da fare insieme, e tu organizzi, solleciti, stimoli, presti attenzione a chi non è coinvolto, sblocchi laddove necessario...
Niente di più.
E' così che la settimana scorsa i bambini non hanno dovuto comporre le prime frasi in solitudine, ma hanno partecipato a un gioco di squadra "Il pescaparole" in cui, in venti minuti di tempo, potevano pescare una parola da un cestino comune, pensare insieme a una frase che la contenesse e scriverla, per poi pescarne un'altra e un'altra ancora...
Tutti concentrati nel gioco e nella volontà di pescare più parole possibili, hanno dimenticato lo sforzo cognitivo e hanno scritto complessivamente quarantuno frasi. Sì, quarantuno frasi in venti minuti. Frasi autoprodotte che poi abbiamo potuto rileggere, aggiustare sintatticamente e ortograficamente, riscriverle collettivamente e stamparle per tutti.
- E il chiasso? - Questa è la domanda ricorrente.
Io posso rispondere solo così: - Sono un'amante dell'ordine, dell'organizzazione, del rispetto delle regole, ma mi innamoro del "rumore" del lavoro, del "rumore" del fare insieme. Mi fermo ad ascoltarlo e lo assaporo completamente perchè lì ci vedo i bambini che apprendono.-
Quello per me è il momento più importante, quello che cerco, spesso senza riuscirci, di fermare con le foto e i filmati. E' il momento vivo della didattica. Quello che è possibile solo a scuola - siamo insieme, è il momento dell'apprendimento sociale - eppure è tenuto con forza fuori dalle pareti scolastiche.
Mi risuona ancora nelle orecchie una frase sentita nell'andito due anni fa, mentre le parole di un canto ci guidavano dentro lo studio della storia - Quando capirà che la scuola è una cosa seria... -
Questa risposta è arrivato il momento di darla, e voglio farlo qui: - Spero mai - Quella è la mia paura professionale più grande.
Del tempo che passa, ho paura solo di quando, svegliandomi, un giorno, dovessi scoprirmi ad aver bisogno solo di silenzio, non avessi più la forza fisica e mentale di pensare alla didattica così.
E' proprio vero, è una cosa seria la didattica. Se non la prendessi sul serio, non avrei paura del tempo in cui forse non avrò più voglia di giocare.