Segnalo la recensione, a cura di Maurizio Tirinticco, dell'ultimo libro di Edgar Morin, noto autore de La testa ben fatta: Insegnare a vivere, Manifesto per cambiare l’educazione, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2015
di Maurizio Tirinticco, da www.edscuola.eu
In un momento così difficile e complesso per il nostro Sistema
educativo nazionale di istruzione e formazione – dire semplicemente
scuola sarebbe riduttivo – questo nuovo intervento dell’autore de “La
Tête bien faite” (1999) mi sembra assolutamente significativo e
importante. Non va dimenticato che le prime “Indicazioni per il
curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di
istruzione” del 31 luglio 2007, firmate dal Ministro Fioroni, portavano
lo stigma – se si può dir così – di Edgar Morin. Nella presentazione
delle Indicazioni che ebbe luogo in Roma nell’aprile di quell’anno,
Morin ebbe a dire tra l’altro:
“Cultura, scuola e persona sono inscindibili… ‘Voglio apprendere a
vivere’: questa frase rimarca l’importanza vitale della formazione sia
da un punto di vista di umanità che di cittadinanza perché, per
risolvere i problemi fondamentali dell’uomo, è necessaria un’alleanza
educativa tra cultura umanistica e cultura scientifica. Una mancanza di
congiunzione tra le due infatti non può servire a un’adeguata
maturazione morale e spirituale…. Una conoscenza priva di
contestualizzazione è una conoscenza povera. Come fare a riunire i
saperi delle varie discipline? Serve un pensiero complesso che permetta
di unire ciò che è separato. Oggi serve un nuovo umanesimo… Come
apprendere a vivere? La conoscenza non si ha con la frammentazione ma
con l’unione. È necessaria una riforma della conoscenza del pensiero, un
nuovo umanesimo globale che sappia affrontare i temi della persona e
del pianeta. I giovani oggi si sentono persi, non trovano le ragioni
dell’essere. Durante la seconda guerra mondiale i ragazzi dovevano
resistere al nazismo, divennero partigiani, contribuirono a liberare le
loro vite e le loro nazioni. E oggi? Oggi i giovani sono chiamati ad
affrontare un compito ancora più ampio: la salvezza del genere umano.
Hanno una missione grande davanti a loro e dobbiamo educarli ad
apprendere e a maturare una conoscenza adeguata ad assolvere a questo
compito fondamentale a cui sono chiamati”.
Fa un discorso di grande respiro, anche perché è l’epoca stessa in cui viviamo che ci “costringe” a riflessioni profonde. Sono gli stessi concetti di conoscenza e di sapere che sono profondamente cambiati. Dei “Sette saperi necessari all’educazione del futuro”, di Edgar Morin (Unesco, Parigi, 2000), ne voglio ricordare soltanto due, i più significativi: il 2° – insegnare a cogliere le relazioni che corrono tra le parti e il tutto in un mondo complesso; e il 5° – insegnare a navigare in un oceano di incertezze attraverso arcipelaghi di certezze. Si tratta di un forte richiamo a considerare le differenze che corrono tra l’analitico e il sintetico, il razionale e l’immaginativo, l’analogico e il digitale, per non dire poi delle intelligenze multiple, di Howard Gardner, tutte ricerche che hanno messo sotto scacco i processi cognitivi fondati sulla lettura/ascolto, che hanno caratterizzato metodi di insegnare/apprendere che, in tempi trascorsi, avevano pure una loro efficacia.
Fa un discorso di grande respiro, anche perché è l’epoca stessa in cui viviamo che ci “costringe” a riflessioni profonde. Sono gli stessi concetti di conoscenza e di sapere che sono profondamente cambiati. Dei “Sette saperi necessari all’educazione del futuro”, di Edgar Morin (Unesco, Parigi, 2000), ne voglio ricordare soltanto due, i più significativi: il 2° – insegnare a cogliere le relazioni che corrono tra le parti e il tutto in un mondo complesso; e il 5° – insegnare a navigare in un oceano di incertezze attraverso arcipelaghi di certezze. Si tratta di un forte richiamo a considerare le differenze che corrono tra l’analitico e il sintetico, il razionale e l’immaginativo, l’analogico e il digitale, per non dire poi delle intelligenze multiple, di Howard Gardner, tutte ricerche che hanno messo sotto scacco i processi cognitivi fondati sulla lettura/ascolto, che hanno caratterizzato metodi di insegnare/apprendere che, in tempi trascorsi, avevano pure una loro efficacia.
Se queste considerazioni sono vere, ne consegue che l’intero impianto
scolastico, che abbiamo ereditato da un lontano passato, non può non
essere rimesso in discussione. Al centro di questo impianto c’è il
rapporto insegnante alunno. E su questo rapporto si sofferma in più
punti del suo nuovo libro l’attenzione di Morin. In effetti, in un mondo
sempre più liquido – per dirlo alla Bauman – occorre, invece,
“ritrovare una missione insostituibile, quella della presenza concreta,
della relazione da persona a persona, del dialogo con l’allievo per la
trasmissione di un fuoco sacro e per la delucidazione reciproca di
malintesi” (p. 66).
E Morin ricorda anche l’affermazione di Platone, secondo cui, “per
insegnare c’è bisogno dell’Eros, cioè dell’amore. E’ la passione
dell’insegnante per il suo messaggio, per la sua missione, per i suoi
allievi che garantisce un’influenza possibilmente salvifica, che fa
sbocciare una vocazione da matematico, da scienziato, da letterato” (p.
64). Morin è, quindi, assolutamente contrario alla consueta sequenza
lezione, studio domestico, interrogazione, compito in classe, voto. “E’
tutto il sistema di educazione contemporaneo, fondato sul modello
disciplinare dell’università e sulla disgiunzione fra scienza e cultura
umanistica, che bisogna nello stesso senso rivoluzionare” (p. 103). Oggi
viviamo in un mondo in cui non ci sono più i maestri e i libri come
unici depositari dei saperi, perché le Tic e il Web sono a disposizione
anche del cellulare meno costoso. L’insegnante non è più l’unico
depositario del sapere, ma deve essere l’organizzatore e l’animatore dei
saperi dei suoi alunni. Di qui la metafora del direttore d’orchestra.
“Questa nozione di direttore d’orchestra inverte il corso stesso delle
lezioni. L’insegnante non distribuisce più come priorità il sapere agli
allievi. Una volta fissato il tema di un compito o di un’interrogazione
orale, sta all’allievo trarre da Internet, dai libri, dalle riviste e da
tutti i documenti utili la materia del compito o dell’interrogazione e
presentare il suo sapere all’insegnante. E quindi sta a quest’ultimo,
vero direttore d’orchestra, correggere, commentare, apprezzare l’apporto
dell’allievo, per arrivare, nel dialogo con i suoi allievi, a una vera
sintesi riflessiva del tema trattato” (p. 104).
Morin sottolinea con forza la responsabilità che oggi ha un sistema
di istruzione e formazione – soprattutto nei Paesi a più alto sviluppo –
per garantire a tutti e a ciascuno quell’apprendimento per tutta la
vita che è determinante per lo sviluppo culturale e civile per ciascuno e
per tutti. “Si potrebbe, come si faceva in passato per il servizio
militare, immaginare che ogni cittadino o cittadina possa ventotto
giorni all’anno effettuare un servizio di educazione, che comprenda la
revisione e l’aggiornamento delle conoscenze, l’esercizio della
ginnastica psichica dell’autoesame…” (p. 105).
Il nuovo libro di Morin – in un momento particolarmente difficile per
il nostro Sistema di istruzione – propone ai responsabili politici,
agli uomini e alle donne di scuola e ai cittadini tutti, un momento di
riflessione attenta sulle natura stessa e sulle finalità che oggi hanno,
in una società sollecitata da cambiamenti sempre più rapidi, i processi
di insegnamento/apprendimento. Una didattica cooperativa, quella
“didattica laboratoriale”, che ricorre ormai in tutti i nostri documenti
relativi al riordino del sistema di istruzione, dovrebbero veramente
diventare il nodo centrale di qualsiasi processo riformatore.
È opportuno che di questo insieme di problematiche, così
magistralmente rappresentateci da Morin, si tenga, comunque e sempre, il
dovuto conto, ed evitare che gli attuali motivi del contendere attorno a
un ddl che provoca contenziosi a non finire, non ci consentano di
centrare e analizzare i nodi centrali dell’insegnare/apprendere, che poi
si consumano all’interno di un’aula, in quel rapporto docente/alunno
che costituisce il clou di quel successo formativo che – come ci siamo impegnati con il dpr 275/99 – dovremmo garantire a tutti e a ciascuno.
E… grazie a Morin, che non finisce mai di insegnarci qualcosa!
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