venerdì 14 marzo 2014

L'angolo di Ciripò: parole che curano

Oggi, all'interno del laboratorio sulle emozioni guidato da Maestra Annalisa, abbiamo completato il nostro percorso sulla tristezza riflettendo sulle parole che curano:
  • le parole lampadina, quelle che desideriamo sentirci dire quando siamo tristi e che riaccendono dentro di noi la luce che la tristezza aveva spento;
  • le parole materasso, quelle che possiamo usare per "ammorbidire" la tristezza di qualcuno.
Abbiamo riflettuto anche sul fatto che per aiutare qualcuno, dobbiamo saper attendere il momento in cui l'altro è pronto ad accogliere le nostre parole o i nostri gesti: "Ti posso consolare?".

La nostra esplorazione delle parole si è conclusa con la lettura di alcuni versi per poi aiutare "Punto interrogativo" a ritrovare il sorriso.

Parole che sfrigolano

Ci sono parole che mordono, 
che graffiano e tagliano dentro, 
che pizzicano più di zanzare
e riescono sempre… a far centro.
Ci sono parole non dette,
parole che muoiono in gola
e parole che salgono in bocca
senza chiedere mai la parola…
Ci sono parole che tremano
perché hanno vissuto di tutto
e non riescono ancora a lasciare
tutto ciò che hanno visto di brutto.
Ci sono parole preghiera,
parole silenziose e perfette,
per chi le conosce e le usa,
per colui a cui sono dirette.
Ci sono parole che cantano,
ci sono parole che ridono,
parole che si accendono insieme e…
 SFRIGOLANO!

Filastrocca tratta da "Il mio diario delle emozioni" Comprendere e esprimere rabbia, paura, tristezza e gioia, di Monica Colli, Rossana Colli, Centro Studi Erickson.

1 commento:

  1. Le parole che curano… saper cogliere il momento per offrirle.
    Una lezione utile anche per noi genitori e adulti. Perché spesso dimentichiamo che il bambino ha visto… e vede il mondo con i suoi occhi e ha bisogno di affrontarlo con le sue emozioni. Per questo dovremmo guardarci dal giudicare o interpretare le sue reazioni. Certo, alcune di esse possono essere davvero scomode e faticose da gestire e in alcuni momenti si può essere indotti a cercare strategie e soluzioni utili a far si che si manifestino meno frequentemente o non si manifestino del tutto.
    Invece, dobbiamo solo avere la pazienza di ascoltare quel bambino e ascoltarlo significa non avere fretta e “saper stare” nelle sue emozioni. Con discrezione ed attenzione, dobbiamo limitarci a vigilare per saper identificare ciò che vive, come associa le cose, ciò che sente e ciò che dice a se stesso: facciamo in modo, quindi, che venga “attraversato” da tutte quelle emozioni, quei piccoli terremoti interiori, che hanno pari dignità e sono fondamentali per la sua crescita, per affrontare efficacemente gli eventi della vita.
    Allora, rimanendo in quell’ascolto, capiremo quando è il momento giusto per entrare nel mondo dei nostri bambini e offrire così le parole che curano. Curare non vuol dire sempre risolvere o rimarginare, ma semplicemente riuscire a dare una risposta che sia in grado di aiutarli a riconoscere, gestire ed accettare l’emozione che sentono e che devono necessariamente vivere.
    Infine, penso che affrontare questo percorso del riconoscimento e gestione delle emozioni in classe, è stata una bellissima idea soprattutto per aver creato un tempo ed uno spazio accogliente in cui il bambino non sente a rischio la sua identità.
    Grazie Annalisa per il tuo prezioso contributo! e a Maestra Enrica che sempre con dedizione ed attenzione offre quel “tempo e spazio” per far vivere questi importanti percorsi.

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