venerdì 26 luglio 2019

Gianni Rodari: 9 Modi per insegnare ai ragazzi a odiare la lettura

1964, Gianni Rodari, 9 Modi per insegnare ai ragazzi a odiare la lettura ne "Il Giornale dei Genitori".
Da rileggere con attenzione.

Grazie al dirigente scolastico Antonio Fini per la sollecitazione.

  1. Presentare il libro come un'alternativa alla T.V.
  2. Presentare il libro come un'alternativa al fumetto.
  3. Dire ai bambini di oggi che i bambini di una volta leggevano di più.
  4. Ritenere che i bambini abbiano troppe distrazioni.
  5. Dare la colpa ai bambini se non amano la lettura.
  6. Trasformare il libro in uno strumento di tortura.
  7. Rifiutarsi di leggere al bambino.
  8. Non offrire una scelta sufficiente.
  9. Ordinare di leggere.

lunedì 22 luglio 2019

Così la scuola in Finlandia fa scuola

Con grande piacere condivido qui un articolo sulla scuola finlandese, pubblicato il 18 luglio da Marco Magni sul sito Gli Stati Generali:
https://www.glistatigenerali.com/scuola/sulla-scuola-in-finlandia-modello/

Municipale, anti-frontale e progressiva: così la scuola in Finlandia fa scuola.

Le discussioni e le polemiche di questi ultimi giorni, suscitate dal quadro sconfortante dei risultati delle prove Invalsi, mi hanno spinto a documentarmi sulla scuola finlandese. In particolare, ringrazio Antonio Vigilante, perché uno scambio di commenti su Facebook è stato fondamentale per arrivare a questo articolo.

I riflettori sulla scuola finlandese si sono accesi nei primi anni 2000, quando l’OCSE ha iniziato le rilevazioni comparate delle competenze del programma PISA, poiché il piccolo paese scandinavo si trovava costantemente nelle primissime posizioni di classifica, alternandosi con nazioni asiatiche come Corea del Sud, Hong Kong e Singapore. In particolare, è rilevante sapere che, al di là dei risultati assoluti, la Finlandia è la nazione in cui minore è la distanza di punteggio tra il primo e l’ultimo studente del campione, nel quale cioè più omogenei sono i livelli di preparazione sull’intera popolazione scolastica oggetto della rilevazione.

Nella classifica della diseguaglianza compilata da Atkinson secondo l’indice Gini, la Finlandia si trova al settimo posto nel mondo, un po’ sotto la Svezia e gli altri paesi scandinavi, ma decisamente sopra l’Italia, situata in ventiquattresima posizione. Il livello di coesione sociale è un’ottima base per spiegare l’efficacia di un sistema nazionale di istruzione, tuttavia nel caso della Finlandia non è sufficiente. L’attenzione degli osservatori si è focalizzata sul sistema scolastico stesso, e sul suo funzionamento.

In particolare, il preside francese Paul Robert ha scritto un dettagliato resoconto di una missione in Finlandia, che poi si è trasformato in un libro, La Finlande: un modèle éducatif pour la France?, pubblicato in una collana di pedagogia diretta da Philippe Meirieu. Ciò che Robert sottolinea per prima cosa è l’atmosfera di grande libertà, tolleranza, convivialità che si respira nelle scuole finlandesi, oltre ai rapporti amichevoli tra docenti e studenti. Ci tiene a sottolineare che non manca la possibilità di infliggere sanzioni disciplinari, ma che l’elemento saliente delle relazioni interne alla scuola è il grande senso di autodisciplina degli studenti finlandesi, mostrandosi colpito dalla grande differenza con le scuole francesi.

L’altro aspetto che mette in primo piano, nel suo resoconto, è la mancanza dalla “leçon magistrale”, ciò che noi chiameremmo “lezione frontale”. Gli insegnanti finlandesi, quando devono illustrare un’opera letteraria, chiamano direttamente gli studenti, nell’ora di lezione, ad individuare un brano dell’opera e a illustrarlo alla classe, oppure mostrano una situazione (anche recitata, drammatizzata, mediante strumenti audiovisivi) e poi chiamano la classe, divisa in piccoli gruppi, a discutere e a relazionare le proprie impressioni. Il numero monografico del 2005 dei Cahiers pédagogiques, dedicato alla scuola finlandese, contiene un intervista a due studenti di 13 anni che hanno avuto la ventura di frequentare sia la scuola francese che quella finlandese: uno di loro afferma di aver avuto insegnanti, in Francia, che lo hanno umiliato, e che ciò in Finlandia non potrebbe mai accadere, ma dice anche che in Francia bisogna studiare “par coeur”, ovvero a memoria, mentre in Finlandia s’impara facendo. Michael Moore, nel suo breve reportage sulla scuola finlandese, con il consueto humour, sottolinea soprattutto il fatto che gli studenti finlandesi fanno pochissimi compiti a casa pur avendo un orario scolastico più corto della media internazionale. Infine, Tim Walker, insegnante americano che ha insegnato in Finlandia, racconta di essere stato colpito dalla grande autonomia e indipendenza dei bambini finlandesi, che circolavano liberamente nei corridoi della scuola senza bisogno di sorveglianza, e si servivano autonomamente alla mensa scolastica.

La Finlandia, negli anni ’60, ha approvato, come molte altre nazioni, una riforma che andava nel senso della comprehensive school, per attenuare la segregazione sociale all’interno del sistema scolastico e aumentare l’età dell’obbligo scolastico, garantendo un livello di cultura comune per tutti i cittadini. Riforme simili sono state implementate in Italia, con la scuola media unica del ’62, in Francia, con il “college unique” del ‘75, in Inghilterra, con la comprehensive school, appunto, nei ‘60. Ma il processo seguito in Finlandia per attuare la riforma non è comparabile a quello degli altri paesi. Dopo un atto d’indirizzo nel 1968, il Parlamento ha votato una riforma che è entrata in vigore, ma gradualmente, nel 1971. In luogo di un sistema canalizzato, modellato sul sistema tedesco, che costringeva a scegliere precocemente tra istruzione liceale e istruzione professionale, è stato introdotto un canale unico dai 7 ai 16 anni, età dell’adempimento dell’obbligo scolastico, cui seguivano due canali, uno di istruzione professionale, l’altro liceale, della durata di tre anni. Il sistema è stato prima sperimentato in alcune regioni, come la Lapponia, e poi esteso all’intera nazione.

Il sistema finlandese è fortemente decentrato. Le autorità decisionali in materia d’istruzione sono le municipalità, che finanziano le scuole con il loro budget, e le scuole stesse, che tra l’altro esercitano la “chiamata diretta” nel reclutamento del personale.

Tuttavia, tali aspetti, come la natura comprensiva del sistema educativo, e la gradualità nell’implementazione del processo riformatore, importante per consolidare il sistema e sottrarlo alle piroette della politica scolastica ad ogni cambio di maggioranza governativa, non bastano a spiegare il successo della scuola finlandese. Un altro è l’aspetto determinante, quello più difficile e che, nel resto del mondo è stato per lo più, storicamente, travisato e aggirato. Il punto è che, nel sistema scolastico finlandese si è verificata la piena istituzionalizzazione dell’attivismo pedagogico, o “educazione progressiva”, che ha i suoi padri fondatori in Maria Montessori e John Dewey. L’idea che non esiste una “trasmissione” della conoscenza, ma che la conoscenza c’è solo nel momento in cui viene interpretata attivamente da chi apprende, e che l’applicazione pratica di una determinata conoscenza è inscindibile dalla “comprensione”, è un “senso comune” del corpo docente finlandese. Mentre in Italia abbiamo un settore di educazione montessoriana identificata con l’infanzia e la prima adolescenza, mentre negli Usa la pedagogia attivistica è stata – come dice Diane Ravitch -, nel processo della sua diffusione e istituzionalizzazione, “inquinata” da aspetti che non le appartenevano e che predicavano l’inutilità del sapere teorico e la necessità che la scuola fornisse un sapere immediatamente spendibile, oppure gli insegnanti sono stati lasciati soli ad improvvisare i modi della sua implementazione – come risulta dall’ampia inchiesta di Larry Cuban degli anni ’80 -, in Finlandia si è venuta costruendo una “cultura” comune proprio attorno alla pedagogia progressiva o attivistica.

Il sistema di reclutamento degli aspiranti insegnanti finlandesi è molto selettivo: per accedere al corso universitario bisogna avere già una pratica di uno o due anni come assistenti di educazione in una scuola, e – dice Robert – nell’università di Jonssu, su 1200 curricoli presentati, alla fine solamente 80 vengono ammessi al corso. E’ necessario, oltre al corso di formazione universitario, un master in pedagogia per chi insegna nella scuola dell’obbligo, e 2 anni di studio della pedagogia, oltre al perfezionamento della materia insegnata assieme alla sua didattica, per chi insegna nel triennio finale dei licei e delle scuole professionali. Il percorso di formazione implica anche numerose ore di attività pratiche in aula scolastica, per mettere in pratica le idee didattiche studiate a livello teorico.

Si comprende bene come, in Finlandia, sia stato abolito il sistema degli ispettori scolastici e come un sistema completamente decentrato dal punto di vista amministrativo possa restare nella sostanza, fortemente unitario. Un consenso sui principi, e una cultura comune relativa ai modi concreti mediante cui i principi vengono tradotti in pratica, costituiscono il cemento del sistema. Mettere al centro del sistema educativo “l’autonomia della persona” implica tutta una serie di condizioni molto impegnative affinché realmente, nell’intero processo educativo, tale autonomia possa costituirsi, in modo coerente e organico, dall’infanzia all’adolescenza, determinando una formazione di “capacità” e “competenza”.

La Finlandia non è una teoria pedagogica, ma un sistema scolastico istituzionalizzato. Nella discussione sulle riforme scolastiche italiane, a mio avviso, avrebbe il senso di mettere in luce alcune evidenze empiriche. Quali? Quelle che, con un minimo di senso critico, si possono verificare in ogni aula scolastica. Pur amando il mio lavoro di insegnante di scuola secondaria superiore, e ricevendone le giuste gratificazioni morali, io vedo che molti studenti e studentesse si annoiano. E che le classi sono spaccate. Chi prende a cuore la “causa” del professore, interfacciandosi con il suo “habitus”, e partecipando quindi anche delle indicazioni pedagogiche che ne derivano, chi invece cerca strumentalmente di adempiere alle esigenze istituzionali – ottenere i voti – in qualsivoglia modo. L’impressione è che non basti assolutamente, giungendo, quale singolo docente, al termine di una serie lunghissima di ingiunzioni lunga quanto una quasi completa carriera di studente, dire, dopo aver svolto la lezione, che le cose bisogna “saperle dire a parole proprie”. L’ingiunzione tacita che la scuola insegna a imparare “par coeur”, cioè a memoria, passa anche attraverso di te, insegnante hai che studiato la pedagogia progressiva, e che si mette in ascolto di studenti e studentesse.

Quasi tutti gli insegnanti italiani rimproverano agli studenti la loro “passività”, quasi tutti considerano lo “studiare a memoria” in termini negativi, ma quasi nessuno di loro è disposto a riconoscere che la “passività” degli studenti non è un fattore esogeno, naturale, o un prodotto di agenti esterni come la televisione o lo smartphone, ma è un prodotto del sistema scolastico e delle sue ingiunzioni.

venerdì 19 luglio 2019

Il cambiamento nasce da dentro: attiva la pagina fb

Con grande piacere, informo che il 17 luglio 2019 abbiamo creato la pagina fb de "Il cambiamento nasce da dentro", spazio di formazione itinerante, fondato nel maggio 2018, rivolto a insegnanti, genitori e studenti, che ha tra le sue principali finalità quella di diffondere esperienze didattiche significative sviluppate dentro le scuole (https://drive.google.com/open…).

Il gruppo di lavoro, che ho il piacere di coordinare, è formato da insegnanti e genitori e fa riferimento all'Istituto Comprensivo "Pietro Allori" di Iglesias, dirigente scolastica: Franca Maria Fara.

Se siete interessati, potete iscrivervi e promuoverne l'iscrizione. La pagina ha lo scopo di dare puntuale informazione sulle proposte di formazione attiva, di documentarle e di garantire la collaborazione tra coloro che partecipano agli incontri, così da sostenere le esperienze che prendono vita nei diversi contesti.

giovedì 18 luglio 2019

Valutare per dare valore: video fotografici

Con grande piacere condivido i video fotografici che raccontano gli incontri di formazione “Valutare per dare valore. Esperienze di scuole senza voti in dialogo” che si sono svolti nelle sedi di Iglesias (Biblioteca Comunale) e Villacidro (Casa Dessì) nei giorni 9 e 10 luglio 2019.

Gli incontri hanno visto la partecipazione attiva e motivata di insegnanti, genitori, dirigenti scolastici e persino di qualche studente universitario e hanno potuto contare sul contributo di quattro relatori: Lucia Bolcato, Carolina Vergerio, Enrica Ena, Davide Tamagnini e, in videoconferenza di Pier Cesare Rivoltella.

La proposta è parte del Progetto "Il cambiamento nasce da dentro", che fa capo al nostro istituto. Si tratta di uno spazio di formazione itinerante, nato con la finalità di promuovere la riflessione sulla scuola e di favorire la diffusione orizzontale di pratiche didattiche significative.

Si ringraziano l'Associazione Casa Emmaus Impresa Sociale di Iglesias e la Fondazione Giuseppe Dessì di Villacidro per aver sostenuto l'iniziativa.

Video fotografico - Biblioteca Comunale, Iglesias



Video fotografico - Casa Dessì, Villacidro

mercoledì 17 luglio 2019

Vagheggiando scuole senza voti

Post di Giuseppe Scarpa

È un peccato che la fine dell'anno scolastico coincida con le ferie, o per qualcuno con le vacanze, e addirittura sia sospesa l'attività didattica. Perché se invece fosse stato un periodo di lavoro scolastico sarebbe stato molto interessante coinvolgere un bel gruppo di insegnanti in qualche attività formativa. Sarebbe stato un bel momento per sentire il racconto del loro lavoro, il loro modo di intendere la scuola, le teorie, ma soprattutto le pratiche, le difficoltà, i sogni, le paure, le gioie, le soddisfazioni. Avrebbero potuto confrontarsi e promettersi collaborazione, progettando nuovi percorsi anche a chilometri di distanza.

Magari avrebbero potuto avere la possibilità di dialogare con chi ha già sperimentato percorsi efficaci, e con chi si è già scontrato e incontrato nella propria scuola per promuovere la qualità attraverso cambi di rotta e percorsi di valorizzazione.

Davvero un peccato! …ma vi immaginate?

Con un po' di tenacia e audacia allo stesso tempo, magari si sarebbe potuto ospitare qualcuno per parlare di valutazione, proprio ora che gli scrutini appena trascorsi hanno evidenziato sistemi chiusi, aridi, che stanno stretti e che non restituiscono il valore del lavoro, ma soprattutto non lo restituiscono ai ragazzi, alle loro famiglie. Proprio ora che sarebbe stato facile riflettere sul lavoro svolto e confrontarlo con qualcuno che ha trovato il coraggio di nuotare controcorrente.

Chissà…. sarebbe potuta essere l'occasione per intrattenersi con Davide Tamagnini e capire come è riuscito "svalutare" i voti e valutare senza di loro. Sarebbe stato bello sentire dalla sua voce che "si può fare!". Oppure con Carolina Vergerio, che avrebbe potuto raccontare come sia stato possibile coinvolgere un intero consiglio di classe in un dialogo con le famiglie di rara efficacia, distogliendo la loro attenzione dalle quantità vuote, o meglio, "mute". Pensate che fortuna se con Lucia Bolcato si fosse potuto rinforzare il pensiero di una scuola vissuta con passione, non in un ottica di scambio, ma semmai riconoscendo quello che ciascuno riesce a dare gratuitamente, senza chiedere una prestazione in cambio, ricevendone alfine i doni portati dall'accoglienza, dal coinvolgimento… dalla crescita.

Invece no. Siamo a luglio inoltrato. Chi potrebbe preferire un locale scaldato dalla luce di un proiettore alla brezza che soffia sotto l'ombrellone? Chi sostituirebbe la leggerezza di una passeggiata con la fatica della riflessione e della progettazione? Credo nessuno… impossibile. Neppure Enrica Ena, sempre infaticabile organizzatrice, tenace sognatrice, appassionata Maestra, autorevole guida e piacevole compagna, …no, neppure lei riuscirebbe a convertire una afosa giornata di luglio in una straordinaria opportunità di crescita personale e professionale. Davvero peccato, perché magari sarebbero emerse quelle energie positive che stanno dentro ciascuno di noi. Magari il cambiamento avrebbe cominciato a germogliare… si sarebbe capito perché #Ilcambiamentonascedadentro

E mentre vagheggio cotanta bellezza, i maggiori esperti del settore, i bambini, mi riportano alla realtà, quella della valutazione soggettiva, dell'autovalutazione, della valutazione dialogica, mi ricordano che l'unica strada è #Valutareperdarevalore e mi dicono che forse… da qualche parte …qualcuno c'è… e potrebbe riuscirci, persino d'estate.

Grazie bambini!!!!

Grazie Giuseppe Scarpa, aggiungiamo noi :-)


 

giovedì 11 luglio 2019

Da mamma a mamma


Ieri, a Villacidro, nella sede di Casa Dessì, durante il secondo incontro di formazione "Valutare per dare valore", ho invitato i genitori ad offrire il loro contributo sull'esperienza vissuta in classe.
Insieme a due mamme degli ex alunni, Isa Ongarelli e Simona Banci, che sono state impegnate, nel tempo, ad offrire lo sguardo delle famiglie sul blog di classe, sulla rivista scolastica e, ormai da un anno, anche durante gli incontri formativi, c'era anche Maura Mei, la mamma di Alice, che quest'anno è entrata a far parte del Gruppo di lavoro "Il cambiamento nasce da dentro".

La sorpresa è stata che Maura, quando ha preso la parola, visibilmente emozionata, ha scelto di portare la sua lettura con un suo scritto. Si trattava di uno messaggio che a fine anno ha rivolto su WhatsApp a un'altra mamma, Isa, sapendo di consegnarlo a chi, giorno per giorno, aveva vissuto e condiviso le scelte che connotano il nostro fare scuola, rinnovando il suo impegno nel sostenerle e divulgarle, che sopravvive ancora oggi.

Sono parole che ho voluto portare qui, perché mi sembra il modo migliore per aprire all'ingresso dello sguardo dei nuovi genitori sul blog di classe.

Grazie, Maura.
Sai cosa c'è Isa? Che per la prima volta, le mie aspettative sono state superate; che il mio passo incerto è diventato una corsa; che ogni individuo tra i tanti che si sono affaccendati in quest'anno scolastico, mi ha fatto prendere coscienza di quello che voglio dalla scuola e soprattutto di quello che non voglio.
Chi c'è stato da subito, chi è andato via, chi è arrivato, ognuno con il proprio modo di essere, di fare e di dare.
Le affinità con i genitori, ma soprattutto le divergenze.
Un continuo farsi e disfarsi per raggiungere un obiettivo comune.
Perché se da soli si può fare tanto, insieme si può fare tutto.
La fine di un anno segna sempre una chiusura, beh in questo caso è il suggello di un inizio.
Ti starai chiedendo perché parlo di me, e non di mia figlia. Il fatto è che, con lei, son tornata sui banchi di scuola anche io. E non c'è niente di più bello che crescere ed imparare insieme.
Un entusiasmo, il nostro, che solo persone come te, che hanno avuto la fortuna di vivere, possono capire, senza fraintendimenti. Un GRAZIE inestimabile a chi lo ha permesso.
Buona strada a noi!

Valutare per dare valore. Il giorno dopo.


Valutare per dare valore. Esperienze di scuole senza voti in dialogo.
Il giorno dopo.

Iglesias, Biblioteca Comunale, 9 luglio
Villacidro, Casa Dessì, 10 luglio

Non sono una formale, lo sanno bene le persone che hanno a che fare con me. Negli incontri che organizzo io, lascio sempre poco spazio a presenze istituzionali e a liste di ringraziamenti, mi piace che il tempo sia tutto dedicato a ciò che ci mette insieme. Ancora di più negli incontri di formazione attiva che organizziamo con “Il cambiamento nasce da dentro”, il nostro Gruppo di lavoro. Ci impegniamo subito a scavare nei nostri vissuti professionali, a dare voce alle nostre convinzioni, ad ascoltare quello che ci sta stretto, per metterlo a fuoco e tradurlo in opportunità; a dialogare con le esperienze nate dentro le scuole, quelle che sono espressione di ciò che può accadere quando cerchiamo risposte nuove a ciò che non ci convince più, quando decidiamo di sperimentare e fare spazio a momenti per osservare insieme, valutare, documentare, così da riflettere ancora.
Ma oggi, recuperata una distanza fisica ed emotiva, il tempo per sostare sulle giornate vissute e dire i miei grazie voglio assolutamente prendermelo.
Gli incontri sulla valutazione appena chiusi sono occasioni formative che abbiamo fortemente voluto e sulle quali abbiamo investito molte energie, consapevoli che il “come valuto” non è esclusivamente una questione di voti sì o voti no. Ci dice che scuola facciamo, quali sono i valori che mettiamo al centro, quale tipo di società siamo impegnati a costruire, quali spazi desideriamo per i nostri figli. Perciò quello che abbiamo respirato ci rende particolarmente felici, così pure l’aver avuto tante presenze che, nonostante questo caldissimo mese di luglio, sono arrivate dalle diverse parti della Sardegna, anche da quelle più lontane e interne.

Ci sono grazie che desidero esprimere. Alla nostra dirigente scolastica, Franca Maria Fara, per il suo sostegno puntuale e la presenza attiva. Alle mamme del Gruppo di lavoro: Isabella Ongarelli, Maura Mei, Simona Banci, Debora Cavalli e alla mia splendida collega: Maria Efisia Piras. Senza di loro niente sarebbe la stessa cosa. A Casa Emmaus Impresa Sociale e alla Fondazione Giuseppe Dessì di Villacidro, che hanno accolto, condiviso e sostenuto le nostre proposte. Ai bambini da cui muove tutto e a tutti coloro che hanno partecipato. Ai relatori: Davide Tamagnini, Carolina Vergerio e Lucia Bolcato, per quanto ci hanno offerto con le loro esperienze e per la flessibilità che hanno espresso nel rimodulare costantemente le proposte e nel farci sentire che, sì, “Si può fare!”. A Pier Cesare Rivoltella, per aver portato tra noi gli elementi caratterizzanti la valutazione formatrice, in cui la valutazione non è distinta dai momenti dell’apprendere, senza mai perdere l’attenzione all’uso di strumenti rigorosi perché questa possa essere reale strumento di miglioramento nelle mani del docente.

Cosa mi porto via? Un mare di riflessioni da lasciare sedimentare e i calorosi abbracci di chi andando via chiedeva: “A quando il prossimo incontro?”. La dimostrazione che imparare per il piacere di imparare è possibile, anche tra noi adulti.
C'è un motore, potente, che muove tutto. Si chiama motivazione ed è l’unica capace di piccole grandi rivoluzioni silenziose.

Chiudo con quanto avevo portato con me nella mia apertura ad Iglesias.
L’interesse della scuola non dovrebbe essere, come troppo spesso si legge in questi mesi, il ritorno all’autorità, ai voti bassi, alle bocciature. Sono strumenti per gli educatori deboli.
Mi piace l'idea di una scuola capace di mettere al centro il costruire perché nessuno mai, nel confrontare gli esiti in ingresso alla primaria con quelli in uscita alla secondaria, possa dire: "Non mi avete fatto niente" (grazie Rino Nasti per la sollecitazione) o, addirittura, “Che cosa mi avete fatto?”.

venerdì 5 luglio 2019

Domande che ritornano

Ieri mi hanno fatto di nuovo la stessa domanda. Così ho pensato tanto a due colleghe, Daniela Nuvoli e Lalla Aru, a quello che mi dicono in ogni occasione da quando, due anni fa, hanno affrontato un lungo viaggio per trascorrere una giornata nella nostra classe.
- Devi dire che classi hai, Enrica. Se non lo dici, le persone pensano che tu abbia classi facili e che il tipo di lavoro che fai sia reso possibile da questo.
- Ma tu non hai alunni con problemi e genitori che si mettono di traverso? - Questa la domanda, più o meno.
Ho risposto.
Il mio sguardo positivo e la mia riservatezza non mi consentono di dire tutto in spazi come questo. Ma le difficoltà ci sono, e sono tante a tutti i livelli, di alunni, di genitori, di colleghi. Le mie, proprio per il tipo di scelte che faccio, e che dichiaro, sono sempre classi molto complesse, e complesso è il lavoro con le famiglie, nonostante ci abbia visto camminare insieme fino a costituirci gruppo di lavoro impegnato nel cambiamento. Incontrare una scuola diversa da quella che si è frequentata, da quella che ci rassicura, non è facile. Se può sembrarlo all'inizio, diverso è dover rinnovare la propria fiducia davanti alle scelte che si trasformano in pratiche vere. Quando i compiti non ci sono davvero, e non ci sono i voti. Quando i quaderni contengono tanto di meno rispetto alle classi accanto e a quelle dei figli degli amici. Quando è difficile tenere sotto controllo il "programma", perché i percorsi di senso non si svolgono in modo lineare e ascoltano il mondo... Quando ancora non hanno fatto ingresso gli effetti delle "consegne aperte" e non si è ancora imparato a sostare davanti a ciò che più conta: la serenità e la crescita dei propri figli.
Però io sono così, guardo alle conquiste, ai passi fatti, a quello che abbiamo costruito. Proprio come con i bambini. Io inizio il viaggio guardando all'equipaggio che ho, senza paura, so che è con quello che devo lavorare. Non amo sostare sui problemi, e non sento il bisogno di etichette. Credo nella classe comunità che costruisce autonomia e responsabilità, e che mette al centro la cura e l'aiuto dell'altro. Credo nell'apprendimento cooperativo, che fa della diversità risorsa, che mette al centro la crescita di ognuno, valorizzando il più debole come le eccellenze. E non mi fanno paure le mattine nell'apparente caos della differenziazione simultanea. Riesco a starci bene dentro.
Ma forse è vero, va detto. Diamo troppe cose per scontate e la scuola, quella viva, quella che sfugge ai libri, ha bisogno di essere "scoperchiata".

Condivido lo scritto con il quale ho lasciato la mia classe quinta lo scorso anno, credo che, in qualche modo, racconti anche l'altra parte: le sofferenze, i "pezzi" persi, la solitudine.

https://enricaena.blogspot.com/2018/06/a-voi-bambini.html

Grazie a chi ieri mi ha fatto riflettere.
Grazie ancora a Daniela, a Laura e a tutti coloro che mi aiutano a dire a voce alta ciò che da sola non riuscirei...

A proposito della nostra consegna aperta...

A proposito della nostra prima vera e propria "consegna aperta", illustrata il 24 giugno, è con piacere che condivido il post con il quale, il 4 settembre 2018, Riccardo Gazzaniga ha accompagnato l'uscita del suo libro sulla sua pagina fb.
Riccardo Gazzaniga, Abbiamo toccato le stelle. Storie di campioni che hanno cambiato il mondo, Rizzoli.


Ed eccolo!
Finalmente è in libreria "Abbiamo toccato le stelle.".
E io vi chiedo due minuti di tempo, per leggere questo post.
Tre anni fa, nella calda estate del 2015, scrissi per Facebook e il mio sito la storia di Peter Norman, “L'uomo bianco in quella foto” di Messico 1968.
Quel pezzo scatenò conseguenze irripetibili: è stato letto da milioni di persone nel mondo e tradotto in 10 lingue, è stato inserito sul sito di John Carlos, uno dei due atleti neri che erano nella foto con il pugno chiuso, ha ispirato spettacoli teatrali e T shirt, è divenuto un caso mediatico mondiale e si è trascinato dietro messaggi di affetto e insulti razzisti, minacce di azioni legali e improbabili proposte di film hollywoodiani.
È stato ripreso da giornali, riscritto, citato, molte volte copiato senza nemmeno una parola di ringraziamento. Lo trovate ancora oggi, qui:
https://riccardogazzaniga.com/luomo-bianco-in-quella-foto/
La soddisfazione che mi regalò quell’articolo e l’interazione che accese con il pubblico, mi ha spinto poi a raccontarvi altre storie, qui sul web, con una continua crescita di lettori.
Lo dico chiaro: per quei pezzi non c'è mai stato nessun guadagno, per me, a parte la visibilità delle pagine e il contatto con i lettori.
Zero, non un singolo euro. Non c'era pubblicità, non c’erano sponsorizzazioni, non c’era nessun introito, solo ore, giorni, settimane di lavoro.
Del resto non avevo alcun obiettivo, volevo solo raccontare cose ai lettori, perché i romanzi richiedono tempo e lunghe gestazioni, ma il pubblico ha bisogno di storie.
Però molti di voi insistevano, non si accontentavano dei pezzi sul web, mi dicevano “devi farne un libro”, ma io non sapevo come accontentarli, pensavo fosse impossibile perché erano storie eterogenee, buttate fuori come capitava.
Poi, grazie ai consigli di mia moglie e del mio agente Stefano Tettamanti e alla fiducia di Alessandro Gelso di Rizzoli, abbiamo avuto un'idea: c’era un doppio filo comune, in alcuni pezzi, ed era il binomio sport-valori.
Si poteva farne un libro che potesse parlare a ragazzi e adulti, genitori e figli, usando lo sport per affrontare temi etici e sociali.
Così dei miei pezzi ne ho scelti 10, rivedendoli, riscrivendoli. E poi ne ho scritti altri 10, nuovi.
A Rizzoli hanno incaricato un bravissimo disegnatore che si chiama Piero Macola di creare una tavola originale per ciascuna storia, poi hanno montato tutto il libro cercando la soluzione migliore, più fruibile e insieme esteticamente vincente.
E adesso il libro è qui e, scusatemi, lo dico come un genitore orgoglioso del figlio, è proprio bellissimo.
È anche un libro politico, in fondo, perché in questo momento in cui parole di odio rimbalzano ovunque, raccontare di lotta alla discriminazione razziale e di genere e sessuale, scrivere di disabilità e diritti dei malati, di dittature e oppressione, di uguaglianza e giustizia, diventa un atto politico.
Nel libro ci sono Mohammad Ali che lottò per i diritti dei neri con Vera Caslavksa che si oppose alla dittatura comunista e con Johan Trollman che affrontò il mostro nazista.
C’è la nuotatrice siriana Yusra Mardini divenuta migrante e costretta a salvarsi la vita nuotando nel mar Egeo e c’è Alex Zanardi, capace di iniziare una nuova vita nell'attimo in cui stava per perdere quella vecchia, che è stato così gentile da co-scrivere la sua storia con me.
C’è Emile Griffith, pugile gay costretto a nascondere per anni il suo amore per gli uomini. C’è Terry Fox, che il cancro aveva privato di una gamba ma non della voglia di sognare, c’è Surya Bonaly pattinatrice sul ghiaccio che dimostrò che ogni ragazza poteva aspirare a diventare principessa, anche se il mondo le si opponeva e il colore delle pelle era quello “sbagliato”.
C’è Gino Bartali che utilizzò la sua bici e la sua fama per salvare centinaia di ebrei dal martirio e c’è Jermain Defoe che ha demolito l’immagine di superstar del calcio per farsi persona qualunque e unica, nel nome di un bimbo malato.
Sono storie che raccontano di uomini e donne coraggiosi, disposti a inseguire non solo il trionfo, ma anche il tentativo di fare la cosa giusta.
A questo punto io ho finito: sono i lettori a decidere il destino di un libro, scegliendo se comprarlo o meno.
“Abbiamo toccato le stelle” costa 16 euro, ma si trova anche a metà prezzo in formato ebook.
Se lo comprerete, grazie, è un dono che mi ripaga di tanti sacrifici e che accetto con gioia, dopo tanti anni di narrazioni gratuite qui sulla pagina.
Se non è di vostro interesse, ma vorrete condividere la notizia o consigliarlo ad amici che potrebbero essere interessati, ve ne sarò grato ugualmente.
Le ultime righe per ringraziare di cuore tutti quanti mi hanno scritto e incitato, quando il pensiero di un libro sembrava impossibile. 
 Ma “Impossibile è solo una parola pronunciata da piccoli uomini che trovano più facile vivere nel mondo che gli è stato dato, piuttosto che cercare di cambiarlo.
Impossibile non è un dato di fatto, è un'opinione.
Impossibile non è una regola, è una sfida.
Impossibile non è uguale per tutti.
Impossibile non è per sempre.
Niente è impossibile". (Muhammad Ali)