Quando, due anni fa, ho incontrato Liliana Segre a Milano, con i miei bambini della classe precedente, lei ha voluto accertarsi che non avessi iniziato a parlare di Shoah troppo presto. Una cosa che la preoccupava, e che invece io avevo fatto parlandone fin dalla prima elementare. Ma l'ho rassicurata, spiegando che avevo rispettato la gradualità e che ero stata molto attenta, scegliendo con cura tutto ciò che proponevo loro. Lei mi ha detto che non deve esserci fretta, che la memoria va consegnata ma che i bambini vanno rispettati.
Ho riflettuto molto su ciò che contenevano le sue parole e, in questo nuovo ciclo, pur avendo scelto di occuparmi della Memoria da subito - credo molto nella forza della ricorsività che mette pezzo su pezzo e che consegna appropriazione e consapevolezza - ho scelto di portarla in classe partendo dai Giusti, partendo da ciò che ritengo importante insegnare più di tutto: c'è chi non si fa vincere dalla paura ma sceglie chi vuole essere, sempre.
L'anno scorso, in prima, l'ho fatto portando in classe la lettura de La Portinaia Apollonia, la portinaia strega tanto temuta da Daniel, ma che, nascondendoli, salverà la vita a lui e a sua madre. L'ho fatto poi, facendo nostro il bellissimo canto dell’IC Trento 6 - L'Altalena - e portandolo ai giardini pubblici con genitori, nonni, amici della classe, in risposta al razzismo di oggi che sembra aver dimenticato quei cartelli che avevano tenuto fuori dai parchi i bambini ebrei.
Abbiamo respinto con parole piumate quelle appuntite di un mondo che dimentica troppo presto.
Quest'anno, la Memoria ha fatto il suo ingresso a settembre, con Gino Bartali, grazie a una consegna aperta sul libro di Riccardo Gazzaniga Abbiamo toccato le stelle. Ancora una volta dalla parte di un Giusto. Abbiamo approfondito la sua storia e ci siamo soffermati su Gino Bartali campione nella vita, mettendoci tutti alla ricerca di tanti materiali: articoli, foto, video, frasi... e ascoltando in diretta le parole di Gioia, sua nipote, che il mese prossimo avremo il piacere grande di incontrare via Skype.
E poi, per concludere, in attesa di riservarci un minuto di raccoglimento, lunedì, alle 11.59 in punto, abbiamo portato in classe una nuova lettura, una delle quattro storie contenute ne Le valigie di Auschwitz di Daniela Palumbo. La storia di Émeline, una bambina francese dell'età dei miei bambini, 7 anni, che scopre di essere ebrea solo quando, ad attenderla al parco, trova un cartello con il divieto di ingresso agli ebrei. Una bambina che conoscerà le leggi razziali assistendo a una commovente discussione (tutta da leggere) tra i suoi genitori e che scoprirà la profonda solitudine consegnata dalla stella gialla cucita sul braccio, quella che allontanerà tutti i suoi amici, anche René, il suo fidanzatino.
Ma anche qui, in questa storia così delicata, la nostra attenzione è stata su Jacques, il barbone che non ha paura di essere amico di una bambina ebrea, e su Fabien Durand, che salverà Émeline, consentendo a Brigitte e Pierre, i suoi genitori, di partire per Auschwitz sapendo sua figlia in salvo.
Ecco, c’è tanta Shoah in questi nostri mesi di gennaio della prima e seconda elementare, ma l'abbiamo raccontata dalla parte della bellezza. Dalla parte di chi rispetta i bambini e che desidera consegnare loro l'insegnamento più importante. Ognuno di noi ha sempre una possibilità. Scegliere chi vuole essere. Scegliere di restare umano.
Ieri, in classe, con la voce ancora rotta, che mi ha costretto a passare il libro in altre mani per la lettura dell'ultima frase, quella scritta da Brigitte sulla valigia “Ti voglio bene, Émeline. Mamma”, mi sono alzata in piedi e ho detto ai miei bambini che non avrei consentito di allontanare uno solo di loro dalla mia classe e che se, allora, fossi stata io al parco con il mio Alberto, non avrei permesso che nessun bambino lasciasse il parco davanti ai miei occhi.
C'era un'atmosfera bella in classe, eravamo tutti Émeline, ieri, e un po' tutti anche Gino Bartali.
È vero, Liliana Segre ha ragione, ci vuole attenzione e delicatezza con i bambini. Il nostro impegno, forse, è sufficiente che sia quello di fare sì che ascoltino forte il loro cuore e che sentano quello degli altri perché, credetemi, loro ne sono capaci.
Ho riflettuto molto su ciò che contenevano le sue parole e, in questo nuovo ciclo, pur avendo scelto di occuparmi della Memoria da subito - credo molto nella forza della ricorsività che mette pezzo su pezzo e che consegna appropriazione e consapevolezza - ho scelto di portarla in classe partendo dai Giusti, partendo da ciò che ritengo importante insegnare più di tutto: c'è chi non si fa vincere dalla paura ma sceglie chi vuole essere, sempre.
L'anno scorso, in prima, l'ho fatto portando in classe la lettura de La Portinaia Apollonia, la portinaia strega tanto temuta da Daniel, ma che, nascondendoli, salverà la vita a lui e a sua madre. L'ho fatto poi, facendo nostro il bellissimo canto dell’IC Trento 6 - L'Altalena - e portandolo ai giardini pubblici con genitori, nonni, amici della classe, in risposta al razzismo di oggi che sembra aver dimenticato quei cartelli che avevano tenuto fuori dai parchi i bambini ebrei.
Abbiamo respinto con parole piumate quelle appuntite di un mondo che dimentica troppo presto.
Quest'anno, la Memoria ha fatto il suo ingresso a settembre, con Gino Bartali, grazie a una consegna aperta sul libro di Riccardo Gazzaniga Abbiamo toccato le stelle. Ancora una volta dalla parte di un Giusto. Abbiamo approfondito la sua storia e ci siamo soffermati su Gino Bartali campione nella vita, mettendoci tutti alla ricerca di tanti materiali: articoli, foto, video, frasi... e ascoltando in diretta le parole di Gioia, sua nipote, che il mese prossimo avremo il piacere grande di incontrare via Skype.
E poi, per concludere, in attesa di riservarci un minuto di raccoglimento, lunedì, alle 11.59 in punto, abbiamo portato in classe una nuova lettura, una delle quattro storie contenute ne Le valigie di Auschwitz di Daniela Palumbo. La storia di Émeline, una bambina francese dell'età dei miei bambini, 7 anni, che scopre di essere ebrea solo quando, ad attenderla al parco, trova un cartello con il divieto di ingresso agli ebrei. Una bambina che conoscerà le leggi razziali assistendo a una commovente discussione (tutta da leggere) tra i suoi genitori e che scoprirà la profonda solitudine consegnata dalla stella gialla cucita sul braccio, quella che allontanerà tutti i suoi amici, anche René, il suo fidanzatino.
Ma anche qui, in questa storia così delicata, la nostra attenzione è stata su Jacques, il barbone che non ha paura di essere amico di una bambina ebrea, e su Fabien Durand, che salverà Émeline, consentendo a Brigitte e Pierre, i suoi genitori, di partire per Auschwitz sapendo sua figlia in salvo.
Ecco, c’è tanta Shoah in questi nostri mesi di gennaio della prima e seconda elementare, ma l'abbiamo raccontata dalla parte della bellezza. Dalla parte di chi rispetta i bambini e che desidera consegnare loro l'insegnamento più importante. Ognuno di noi ha sempre una possibilità. Scegliere chi vuole essere. Scegliere di restare umano.
Ieri, in classe, con la voce ancora rotta, che mi ha costretto a passare il libro in altre mani per la lettura dell'ultima frase, quella scritta da Brigitte sulla valigia “Ti voglio bene, Émeline. Mamma”, mi sono alzata in piedi e ho detto ai miei bambini che non avrei consentito di allontanare uno solo di loro dalla mia classe e che se, allora, fossi stata io al parco con il mio Alberto, non avrei permesso che nessun bambino lasciasse il parco davanti ai miei occhi.
C'era un'atmosfera bella in classe, eravamo tutti Émeline, ieri, e un po' tutti anche Gino Bartali.
È vero, Liliana Segre ha ragione, ci vuole attenzione e delicatezza con i bambini. Il nostro impegno, forse, è sufficiente che sia quello di fare sì che ascoltino forte il loro cuore e che sentano quello degli altri perché, credetemi, loro ne sono capaci.
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per aver lasciato un tuo commento! La pubblicazione avverrà entro le 24 ore.
I contenuti offensivi o inadeguati saranno immediatamente rimossi.