martedì 25 agosto 2015

Noi genitori: "Viaggiare leggeri"

Siamo a casa da soli. Finisco di riordinare e raggiungo mio figlio che, sdraiato comodamente sul divano, sta leggendo un libro.
Leggi con me? Possiamo farlo “con gli occhi”, così non ci disturbiamo.”  
Ci penso un attimo, ma decido di accogliere la proposta, così prendo il mio libro, mi siedo vicino a lui e inizio a leggere anche io…con gli occhi!
Cosa stai leggendo? Un libro per grandi?”.
Diciamo di si.” Brevemente spiego cosa narra il libro e nei suoi occhi colgo una certa curiosità…infatti, sopraggiunge un’altra domanda: “Ora, proprio ora, cosa stai leggendo?
Un insegnante ha chiesto ai suoi alunni di fare una ricerca sul concetto di portaging, il trasporto dei beni. In passato i Wabanaki, una confederazione di cinque tribù indiane, dovevano trasportare le canoe e tutto ciò che possedevano a mano da un corso d’acqua all’altro, per questo era necessario riflettere bene su cosa tenere e cosa invece lasciarsi alle spalle. Impararono a viaggiare leggeri. 
Il loro insegnante, per svolgere la ricerca, vuole che si chieda a qualcuno cosa ha deciso di portare con sé quando a un certo punto della vita ha dovuto affrontare un viaggio, sia una scelta o altro. Le domande sono: Cosa porteresti con te? Cosa lasceresti? Cosa hai imparato sull’importanza delle cose?
Sebastian chiude il suo libro, si alza in piedi e decide che vuole rispondere anche lui a quelle domande.
Immagina di partire verso un'isola deserta con una canoa, anzi no cambia idea!, con una barca a vela il cui equipaggio è formato da tutti i suoi compagni di classe e dalla sua maestra, Enrica.
Cosa portare: un diario, un quaderno, un astuccio con penne e matite. Deve prendere degli appunti di viaggio, perché se a lui e ai suoi compagni di avventura dovesse accadere qualcosa, le persone che troveranno quegli appunti potranno capire l’accaduto e aiutarli. Poi, dei vestiti, del cibo, dell’acqua, una coperta, il necessario per lavarsi, una palla per giocare, il suo amico Woody, una macchina fotografica, una bussola, un telefono, lo spray per le zanzare, una torcia ricaricabile, dei libri. E una foto della sua famiglia…per averci sempre accanto.
Prima di partire, mamma, ricordami che devo mandare su Edmodo un messaggio ai miei compagni per avvisarli di portare anche loro la foto della loro famiglia. Possono guardarla quando sono un pochino tristi!
Cosa lasciare: il pigiama, la Wii, le scarpe, la nostalgia.
Prima di rispondere alla terza domanda, ci fermiamo e ragioniamo insieme sulle cose che ha deciso di portare, se possono farlo viaggiare leggero, se sono quindi essenziali per poter affrontare un viaggio su un’isola deserta. Dopo un lungo e attento confronto, dove cerchiamo di capire cosa può offrire l’isola, alcune cose vengono sostituite con una canna da pesca, utile per pescare e procurarsi del cibo, dei fiammiferi, per accendere il fuoco per cucinare, un coltello, per andare a caccia, dello spago per costruire una casa di legno e un carico di emozioni e buoni propositi: coraggio, fiducia, paura, unità, collaborazione, calma, sostegno.
Ecco, siamo giunti alla terza domanda e alla risposta di Sebastian: “Mamma, le cose importanti, sono quelle che servono. Sono quelle che mi insegnano a vivere, che mi aiutano a crescere, che mi danno la possibilità di scoprire, di provare, di conoscere nuove cose, di costruire, di sentire, di sbagliare, di scegliere, di cambiare, di ricominciare. Ah! Ora ho capito il significato di viaggiare leggeri: il bagaglio lo riempiamo con le nostre esperienze che viviamo durante il viaggio. Alcune rimarranno sempre, altre le dovremo lasciare e custodirle nel nostro cuore. Poi, mamma, se la barca a vela la carichiamo troppo, può anche affondare!
A questo punto mi viene da aggiungere una quarta domanda: “Cosa ti aspetti, come pensi che sarà questo viaggio?” - Risponde:“Anche il mio cuore deve partire leggero, per questo non mi aspetto niente, il viaggio sono sicuro che sarà difficile, imprevedibile, ma bello, entusiasmante e libero!”.
La sera, quando il silenzio della casa mi avvolge, ritorno a quel momento, a quello scambio con mio figlio e nelle sue semplici risposte trovo racchiusa una grande verità: mentre noi cerchiamo di insegnare ai nostri figli tutto della loro vita, loro ci insegnano che cosa conta davvero nella vita.
Ogni giorno noi adulti, noi genitori, viviamo con l’affanno di cercare le risposte giuste da dare alle nostre azioni educative e così il nostro bagaglio si riempie di attese, aspettative, preoccupazioni, dubbi, paure, progetti, propositi, intenzioni, stabilità, protezione, certezze, soluzioni e tanto altro ancora, certi che siano gli strumenti fondamentali per aiutare a crescere i nostri figli.
Capita invece che, quotidianamente, il nostro essere genitori è un continuo diventare… ricollocandoci davanti a loro con occhi nuovi, perché “lavoriamo” dentro a una situazione viva, che cambia continuamente e che spesso deve fare i conti con l’inaspettato, con la circostanza non prevista, con l’inatteso, con nuove scoperte, con nuove realtà. Perché il cammino che percorriamo insieme ai nostri figli è un opera in corso, che nonostante la sua importante progettualità, richiede continue modifiche perché possa essere compiuta.
Allora il nostro viaggiare leggeri diventa un fare semplicemente spazio a quello che serve, a quello che conta: la nostra presenza.
Una presenza discreta, ma attenta, consapevole e complice della loro crescita, fatta di dialogo, di condivisione, di attesa, di silenzio e di ascolto. Un generoso segno di prossimità, fatto di tenerezza dove i nostri figli ci chiedono quel poco che per loro rappresenta il tutto: di regalare occhi sereni, di abbracciarli molte volte, di leggere la nostra vita, narrare i nostri sogni, guardarli con trasparenza, rivolgere un sorriso, riprenderli con fiducia, correggerli con saggezza, aiutarli con prudenza, raccontare la speranza…
Sappiamo bene, però, che portare sulle spalle un bagaglio pesante o leggero rimane, comunque, una libera scelta, con una responsabilità in più, visto che dalle nostre azioni dipenderà il modo in cui accompagneremo i nostri figli alla consapevolezza di sé, al loro domani.
Concludo - come solitamente mi piace fare, guardando alle esperienze in comune - nel ritenere che quanto raccontato, possa essere quello che vivono gli insegnanti entrando ogni giorno nella loro classe, certi che la lezione prende forma solo nel momento in cui si è capaci e disposti a posizionarsi davanti ai bambini con un cuore pronto, disponibile e libero. Perché spesso, la lezione programmata e preparata con tanta cura, attenzione e pazienza, ha bisogno di qualche improvviso accorgimento, o semplicemente di essere rimandata, perché trova ad attenderla…
Le domande inaspettate che cercano una risposta e che solo insieme, con il coinvolgimento di tutti, è possibile trovarla. L’insistenza, la preoccupazione, il disagio che chiedono di essere pazientemente ascoltati e compresi. Un pianto improvviso che non deve essere interrotto, perché necessita di un tempo di attesa, sostegno e comprensione, per riuscire a trasformarsi in serenità, tranquillità e certezza. La stanchezza e la noia che possono essere sconfitte con la capacità di stupire, inventare, improvvisare, cambiare e sorprendere. La soddisfazione, da premiare e condividere. L’insicurezza che chiede di essere valorizzata e trasformata in fiducia e autostima. La delusione di aver sbagliato che ha bisogno di comprendere che l’errore non si può e non si deve eliminare, occorre invece viverlo con il coraggio di riprovare, sempre. Il problema di apprendimento che fino a quel momento non si era presentato e che ora aspetta una soluzione: occorre così mettere da parte gli strumenti preparati per quel giorno e trovarne altri capaci di semplificare, dispensare, modificare. Il movimento continuo che richiede un tempo per potersi sfogare. L’eccessiva energia che occorre riuscire a incanalare. L’entusiasmo e l’impazienza di volersi raccontare e l’immensa felicità di trovare il giusto tempo e spazio per poterlo fare. Le preoccupazioni e aspettative di un genitore che si affaccia in aula con il bisogno di un consiglio, di un aiuto, di una parola di conforto.
…Lo sguardo dolce di ciascun bambino, che invita la sua maestra a “fermarsi”, a sedersi un istante in mezzo a loro, per ripercorrere felicemente insieme la sua passione educativa; la passione di una maestra che non costringe ma libera, non trascina ma innalza, non comprime ma forma, non impone ma insegna, non esige ma domanda…di fidarsi e di avere il coraggio di viaggiare insieme a lei…leggeri.

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