"Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini solo per raccogliere il legno e distribuire i compiti, ma insegna loro a desiderare il mare ampio e infinito". (Antoine-Marie-Roger de Saint-Exupéry)
Ho appena finito di leggere in anteprima la Relazione di Laurea "InterMune: Storia di persone che fanno la differenza", scritta da Ludovica Andreotti, relatrice Cecilia Casalegno, a conclusione del Corso di Laurea Triennale in Economia Aziendale, Università degli Studi di Torino, Dipartimento in Managment ed Economia.
A parte il mio essere orgogliosa del fatto che lo studio sia stato ispirato dal lavoro di mio fratello, Riccardo Ena, Senior Sales Director del Progetto InterMune Italia (filiale italiana di una startup multinazionale americana con sede a San Francisco che si occupa del lancio del primo farmaco contro una rara malattia polmonare), mi piace che al centro della riflessione di un mondo alimentato dal profitto, ci sia un modo assolutamente nuovo di costruire il team, qui definito come Team di vincitori, sognatori, non conformisti e combattenti indirizzati verso una mission ben precisa: il business sociale. Dallo studio emerge, infatti, che la motivazione del personale sia un elemento fondamentale e che il benessere psicologico e l'inclusione sociale dell'individuo abbiano un ruolo fondamentale nell'impegno e, in alcune situazioni, superino quello legato al guadagno.
Il business, nel lavoro documentato, viene posto alla fine dell'imbuto, con la convinzione che il ricavo economico arrivi come conseguenza di un percorso lavorativo e sociale e non sia il primo obiettivo aziendale. In questo senso molto importante è creare un ambiente di lavoro in cui gli individui possano sviluppare se stessi e le proprie competenze.
Quanto sostenuto dalla tesi è confermato dai risultati che, confrontando Italia, Germania e Francia in base al tempo in cui hanno raggiunto un determinato fatturato, hanno visto l'Italia superare la Germania per la prima volta nel farmaceutico, cosa mai avvenuta, tra l'altro, in nessun mercato. Un importante aspetto che dimostra quanto l'azienda abbia avuto ragione a credere e a puntare sul modello di business di Intermune. Si pensi che, per quanto riguarda le vendite, l'Italia è seconda solo agli Stati Uniti, dimostrando dunque che il team italiano è stato in grado di fare la differenza a livello mondiale.
Mi piace pensare che se il mondo del business inizia a trovare il coraggio di tradurre in pratiche queste convinzioni, questo possa trovare spazio importante in quei contesti dove dovrebbe essere la normalità. Tanti dei disagi negli ambienti di lavoro, che vanno a compromettere il clima, la volontà di implicarsi, e quindi i risultati - e io rifletto mettendo al primo posto la scuola - vengono proprio dal non sentire appartenenza al Progetto comune, dal fatto che il coinvolgimento e la valorizzazione del personale siano sempre più sacrificati all'assenza di tempo e alla fretta di un risultato da documentare, prima ancora che da raggiungere.
Per quanto mi riguarda, rifletto su queste criticità da tempo, ed è per questo che di recente ho voluto affrontare questo tema nel numero di novembre di Essere a Scuola, Editrice Morcelliana, con la rubrica "Essere comunità". Qui, l'amarezza di alcune riflessioni è ben compensata da un'altra esperienza virtuosa, questa volta giocata tutta nel mondo della scuola: quella della dirigente Alessandra Patti nell'Istituto Comprensivo di Sestu.
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