venerdì 17 aprile 2015

In ogni dove...insegnanti!

Oggi, in ospedale, mentre mi accingo a trascorrere tante ore senza pensare all'attesa, ma accogliendo questo tempo lento, mi si avvicina un'insegnante che ho conosciuto da qualche parte, ma che, con dispiacere, non riconosco. Mi dice che lei e le sue colleghe leggono sempre il blog della mia classe, che le incoraggia e le motiva. La cosa che a loro piace, mi dice, è che parlo delle cose di tutti i giorni, che racconto la vita di classe proprio come è. Io, non posso nasconderlo, ne sono felice. Il blog è un po' anomalo e anche eclettico, ne sono consapevole, ma il fatto che venga fuori la sua natura semplice mi piace. Voleva essere un diario di bordo per portare dentro l'aula le famiglie ma anche chi ama riflettere sull'esperienza quotidiana come arricchimento professionale.
Dopo qualche scambio, mi guarda dritta negli occhi e mi chiede: - Me la togli una curiosità? Per te, quali sono le cose davvero più importanti del tuo essere maestra? Se me ne dovessi dire soltanto tre?
Questa domanda mi piace. Ci penso sempre dentro di me. Rifletto di continuo su ciò che conta e cerco di appuntarlo, perché, fermandolo, voglio passare sempre più consapevolmente dal riconoscimento all'intenzionalità. Certo, così, su due piedi, rispondere con questi occhi puntati che interrogano, mentre sono seduta in una sala d'attesa d'ospedale...

Penso, rimetto in ordine velocemente le idee, e rispondo, come fosse un gioco. Uno: costruire un clima di classe positivo in cui stiano bene i bambini e anche io. Due: non dare risposte, aiutare a porsi domande. Tre: apprendimento collaborativo. Spingo per inserire la quarta, senza la quale niente è possibile. Spegnere il motore e andare a vela, nonostante molti pensino che questa scelta cozzi con l'uso della tecnologia.
Mi guarda sorridente. Legge il blog, sa che non cozza e ha colto il senso di ogni cosa che le ho detto. 
Continuiamo a chiacchierare, e ci troviamo d'accordo sul come il non dare risposte e promuovere la ricerca collaborativa trasformi completamente la didattica. Le dico che per me non c'è lezione, è tutto un accogliere, sollecitare, creare occasioni in cui ricorrano i contenuti via via ritenuti centrali, che le etichette arrivano alla fine. Questa è una didattica che funziona proprio come con la lingua. Non aspettiamo di conoscere le regole per parlare. Apprendiamo la lingua nel contesto in cui viviamo, ascoltando, associando significante e significato grazie ai termini che ricorrono, sperimentandone le forme. Solo alla fine riconosciamo e etichettiamo le regole, pronti a ripensarle e modificarle quando incontrano nuove consapevolezze. Non c'è complessità in queste scelte, solo attenzione e volontà di accogliere e dare senso. 
Un'infermiera si avvicina a chiamare la mia collega. Ci siamo dimenticate del tempo, proprio come sappiamo fare noi insegnanti quando parliamo di scuola. Mi saluta, deve andare.
Solo in quel momento scopro che l'aspettava la chemio. Non mi ha detto niente della malattia e ha parlato di scuola.
Chi glielo dice al nostro ministro come siamo noi insegnanti? Chi glielo spiega che noi con il nostro lavoro non chiudiamo mai? 
Grazie per la bellissima chiacchierata. Accidenti a me. Ho in mente i tuoi occhi, il tuo sorriso di chi conosce la passione per le cose, ma non ho trattenuto il tuo nome.

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