martedì 17 settembre 2019

A proposito di didattica con gli EAS

Condivido una sintesi in 10 punti degli aspetti che caratterizzano la didattica per EAS (Episodi di Apprendimento Situato), tratta dalla diretta streaming dell'intervento di Pier Cesare Rivoltella a Rimini (Convegno sulle Indicazioni Nazionali del 17 settembre), resa disponibile dal CREMIT.
Il contributo è proposto a partire dall'EAS come formato didattico e come organizzatore professionale.
  1. L'EAS non è un tipo di flipped learning. Questo fa parte delle metodologie di lavoro usate all'interno di una delle fasi dell'EAS.
  2. Il lavoro individuale è essenziale nella prima fase (fase preparatoria), per porsi davanti alla situazione problema, mentre la fase operatoria deve essere di gruppo. Non è possibile aggirare il "problema" del lavoro di gruppo, aspetto delicato se affrontato in maniera consapevole. Spesso residuale, il lavoro di gruppo è usato per alleggerire la tensione o in una accezione premiale. Ma questa logica è davvero fuorviante.
  3. Il debriefing serve, nella fase ristrutturativa, per discutere gli errori non in maniera repressiva, ma formativa. L'errore è una opportunità e non un problema, serve un cambio paradigmatico.
  4. La lezione a posteriori è più difficile, non è basata sulla improvvisazione, ma sulla capacità di micro-decisione e di riorganizzazione cognitiva istantanea.
  5. Episodicità non vuol dire frammentarietà, ma coerenza con i ritmi dell'attenzione, serve diffidare dal rumore sintattico. Il rumore semantico subentra quando il cervello entra in sovraccarico cognitivo e l'ippocampo entra "in pausa" necessaria.
  6. La situatività si colloca in due direzioni: l'embodiment, ovvero la consapevolezza del fatto che il corpo, l'esperienza, le situazioni immersive, autentiche e real life sono quelle più efficaci ai fini dello sviluppo dell'apprendimento; l'anticipazione cognitiva, poiché quando si lavora in classe si è già passati da quel tema e questo funziona bene, pur nella logica della pre-comprensione.
  7. L'EAS può essere attuato in forma carta e penna, la disponibilità del digitale e le competenze digitali danno tre cose in più: fornire un aggregatore (problema per tutti, non solo per chi lavora con l'EAS), garantire la presenza di tool di file sharing, accedere ad applicazioni didattiche per la produzione di situazioni stimolo e la produzioni di artefatti da parte degli studenti.
  8. Rispetto agli ambienti di apprendimento si evidenziano tre convinzioni: l'idea che serva una continuità tra dentro e fuori, tra formale e informale, per vedere cosa succede quando i ragazzi apprendono "apparentemente" da soli; l'importanza dell'ambiente digitale, o meglio dell'ambiente digitalmente aumentato (il web come risorsa e spazio di risorse, come luogo di co-costruzione della conoscenza); la flessibilità dello spazio aula, modulabile e organizzabile (servono almeno tre disposizioni: frontale per il framework concettuale e la lezione a posteriori; a isole per il lavoro a gruppi; assembleare per il debriefing).
  9. Hattie, basandosi sull'evidence based learning, prova a riportare il detto alle evidenze, alle prove di quello che si dice, escludendo dalle affermazioni didattiche quelle non sostenute dalla ricerca sperimentale. Allora, nel 2015, pubblicando una nota ricerca di meta-analisi sul concetto di apprendimento efficace arriva a un risultato interessante: il 50% dell'efficacia dipende dagli studenti (dal metodo di studio, dal note taking); il 25% dipende dall'insegnante (dalla sua significatività di adulto, dalla sua passione, dal bagaglio culturale, dalla sua credibilità); il rimanente te 25% è dato da come abbiamo organizzato l'ambiente (a livello di metodo, spazio, tecnologia).
  10. Potrebbe essere interessante studiare come supportare il 50% che conta veramente, passando da una rappresentazione della tecnologia come come tecnologia didattica a un'idea di tecnologia dell'apprendimento, con una presenza significativa dell'insegnante come facilitatore degli apprendimenti degli studenti.

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