Mi piace riflettere sulla scuola con lo sguardo privilegiato di chi ne respira il quotidiano. Di chi di scelte e non scelte incontra gli effetti. Da tempo cerco di farlo catturando sguardi altri, sollecitandoli. Questo ha modificato completamente il mio essere a scuola.
Dal quattro marzo, ogni scambio con ex alunni, genitori, colleghi, che so essere attenti osservatori, si chiude con un "Mi raccomando, appunta queste riflessioni, mettile insieme. Quando ritieni, mandamele".
È un invito che rivolgo pensando a quanto sarà interessante incrociare sguardi su questa scuola che si è reinventata. Quanto già ora lo sia osservare tutto questo con gli occhi degli studenti, dei genitori, magari con più figli, dei colleghi che vivono le realtà più diverse.
Non siamo la Francia, che ha chiuso la scuola e, nel bene o nel male, si è ritrovata dentro una "piattaforma di Stato". Siamo l'Italia. L'Italia dove fioccano documenti, circolari, webinar... Tutti che ci orientano, ci indicano ambienti, strumenti, risorse. Che ci dicono scegliete e fate. Ognuno come può, ognuno come sa.
Siamo l'Italia con i docenti formati a livelli altissimi, dalle pratiche i cui nomi è anche difficile ripetere, che, spesso nelle stesse scuole, convivono con chi, in classe sceglie ancora la lavagna tradizionale alla LIM. Quelli che un ambiente di apprendimento online non l'hanno mai visto, che ancora non saprebbero da dove cominciare per condividere un file. Perché l'innovazione (quale?) sta rovinando la scuola.
Siamo quelli che delle situazioni di contesto, fatte le dovute eccezioni, ci occupiamo solo in vista delle prove Invalsi e che della situazione reale di tante famiglie sappiamo ben poco. Perché, alla fine dei conti, tenerle fuori e relazionare con loro solo con il registro elettronico è la cosa migliore. Sino a scoprire, come ora, che un numero infinito di famiglie non ha mai ritirato neanche le credenziali.
Perciò, quando ieri notte sono stata raggiunta da un primo scritto di una studentessa liceale, ex alunna "Ho messo insieme queste prime riflessioni personali, maestra, te le mando", e ho fatto il mio primo ingresso reale nelle case dove si è spostata la scuola, sono stata più che mai consapevole che, sì, è vero, siamo davanti a una bella reazione, siamo ancora la categoria che trova il modo di fare scuola in qualunque situazione, ma la lucidità non va proprio persa.
Quello che ci serve è il coraggio di ascoltare queste voci. Senza crocette.
Perché se è vero che il dopo della scuola non potrà più essere lo stesso, è da queste che dovrà ripartire. Da chi delle nostre scelte - alte, medie, basse - ha portato gli effetti a casa. Perché, se così non dovesse essere, tutto questo sarà accaduto per niente.
Dal quattro marzo, ogni scambio con ex alunni, genitori, colleghi, che so essere attenti osservatori, si chiude con un "Mi raccomando, appunta queste riflessioni, mettile insieme. Quando ritieni, mandamele".
È un invito che rivolgo pensando a quanto sarà interessante incrociare sguardi su questa scuola che si è reinventata. Quanto già ora lo sia osservare tutto questo con gli occhi degli studenti, dei genitori, magari con più figli, dei colleghi che vivono le realtà più diverse.
Non siamo la Francia, che ha chiuso la scuola e, nel bene o nel male, si è ritrovata dentro una "piattaforma di Stato". Siamo l'Italia. L'Italia dove fioccano documenti, circolari, webinar... Tutti che ci orientano, ci indicano ambienti, strumenti, risorse. Che ci dicono scegliete e fate. Ognuno come può, ognuno come sa.
Siamo l'Italia con i docenti formati a livelli altissimi, dalle pratiche i cui nomi è anche difficile ripetere, che, spesso nelle stesse scuole, convivono con chi, in classe sceglie ancora la lavagna tradizionale alla LIM. Quelli che un ambiente di apprendimento online non l'hanno mai visto, che ancora non saprebbero da dove cominciare per condividere un file. Perché l'innovazione (quale?) sta rovinando la scuola.
Siamo quelli che delle situazioni di contesto, fatte le dovute eccezioni, ci occupiamo solo in vista delle prove Invalsi e che della situazione reale di tante famiglie sappiamo ben poco. Perché, alla fine dei conti, tenerle fuori e relazionare con loro solo con il registro elettronico è la cosa migliore. Sino a scoprire, come ora, che un numero infinito di famiglie non ha mai ritirato neanche le credenziali.
Perciò, quando ieri notte sono stata raggiunta da un primo scritto di una studentessa liceale, ex alunna "Ho messo insieme queste prime riflessioni personali, maestra, te le mando", e ho fatto il mio primo ingresso reale nelle case dove si è spostata la scuola, sono stata più che mai consapevole che, sì, è vero, siamo davanti a una bella reazione, siamo ancora la categoria che trova il modo di fare scuola in qualunque situazione, ma la lucidità non va proprio persa.
Quello che ci serve è il coraggio di ascoltare queste voci. Senza crocette.
Perché se è vero che il dopo della scuola non potrà più essere lo stesso, è da queste che dovrà ripartire. Da chi delle nostre scelte - alte, medie, basse - ha portato gli effetti a casa. Perché, se così non dovesse essere, tutto questo sarà accaduto per niente.
«Follia è fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi» (Albert Einstein)
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