venerdì 11 gennaio 2019

Tutto arriva

La prima elementare non è facile. Certo, ti entusiasma, come accade con tutto ciò che è nuovo e che porta con sé tante opportunità. Ma hai appena lasciato bambini grandi, formati, ormai autonomi, con i quali avevi costruito un legame importante, e ti ritrovi a dover riprendere tutto daccapo. 
Un riprendere che non riguarda solo i bambini, ma i loro genitori. Per quanto, prima di iscrivere i propri figli, si siano informati, lo sai bene: un conto è sapere quali sono le nostre scelte professionali, altro è viverle. Soprattutto quelle che sono così lontane dalla scuola che si è sperimentata in prima persona o con altri figli e che, di fatto, condiziona di continuo le attese quotidiane.
Così è un riiniziare tutto, ma proprio tutto. E serve grande convinzione e determinazione, ogni volta di più. Perché, va detto, ci sono scelte che fatichiamo a dover difendere ancora davanti alle attese che cercano risultati immediati. Ormai siamo quello, semplicemente. Sono gli effetti ad averci convinto, non sui soli apprendimenti, ma sul ruolo che crediamo che la scuola debba avere nella vita dei bambini che ci vengono affidati, nella società.
Tempi distesi, tanti invisibili, dedicati a tutti quegli aspetti organizzativi che ci faranno comunità, al programma della giornata, alle preziosissime routine (penso alla ciclicità - giorni, mesi, stagioni; al monta smonta del numero del giorno; alle attività di consapevolezza fonologica...), a ciò che ci accade intorno e che ci offre l'opportunità di preziose anticipazioni cognitive e occasione di dare avvio a percorsi di senso (sono i nostri vissuti, i nostri incontri, i fatti del mondo, o, banalmente, quelle stesse calamite che ho chiesto di portare dai viaggi e che stanno guidando le nostre scoperte geografiche...). E ancora un solo carattere (si parte sempre tutti convinti, ma poi succede sempre: quella classe ha iniziato il corsivo...), un solo quaderno per tutto, un rapporto tiepido con i libri di testo, l'assenza di voti e di qualunque forma di giudizio, la presenza costante - impegnativa - delle prime forme di autovalutazione. Ricreazioni lunghe, niente compiti per casa (come non lasciare spazio ad altro quando il lavoro in classe è già tanto impegnativo?) e lavoro in isole, da subito, pur avendo chiaro che, nella prima fase, la scelta è certamente molto faticosa.
Tutto è più lungo, non ci sono conquiste veloci, ancora di più perché, da subito, la scelta è quella di una didattica che sappia fare spazio (vi insegno a fare da soli e ad aiutarvi a fare insieme perché possiate fare da soli) e che voglia costruire autonomia. Senza nessuna forzatura su parole e numeri perché l'acquisizione della strumentalità non può essere prima e separata dal resto. Imparo a leggere perché desidero leggere e a scrivere perché prende vita il desiderio e l'abitudine di voler fermare i vissuti, un messaggio da consegnare, i pensieri...
Che non significa assenza di precisa sistematicità, ma presenza della convinzione che l'amore per gli apprendimenti, non passi attraverso la ripetizione (penso alla pratica della copiatura di pagine e pagine in prima elementare) ma abbia bisogno di spazio per costruirsi. Di un procedere con chiarezza e attenzione, sapendo di dover attendere.
Ma poi c'è il rientro dalle vacanze. E quello che osservi, improvvisamente, quasi per miracolo, porta con sé le prime risposte importanti a quei primi mesi di investimento molto impegnativo. La classe è diventata classe. I bambini mostrano gioia di ritrovarsi e di essere di nuovo a scuola. Si rituffano nelle giornate, riprendendo l'organizzazione come se l'avessero lasciata il giorno prima, dimostrando appartenenza. I cartoncini delle ore adesive che scandiscono la nostra giornata sono subito ai piedi della LIM; il calendario è aggiornato; il nostro bibliotecario è già nell'isola in fondo che ha ripreso a registrare resi e prestiti dalla biblioteca di classe; tutti si riorganizzano nelle isole e ripongono i loro materiali negli scomparti personali. 
I lavori riprendono snelli, niente è stato dimenticato (non c'era bisogno di compiti, di questo ero convinta, gli stimoli del mondo per un bambino in scoperta, sono numerosissimi). Si rientra nelle cose senza difficoltà alcuna, i tempi di attenzione e di lavoro sono improvvisamente cresciuti. Parole e numeri, spazio e tempo sono dentro ogni cosa e li si manipola con semplicità. 
Si respira affiatamento. I bambini si muovono sereni, cercano la collaborazione dei compagni. Si gestiscono uscite e tempi, lavoro e pause, e si autogestiscono in piccoli gruppi con nuove attività quando terminano i loro impegni. E al momento di andare via, si autovalutano con nuova maturità e hanno cura di risistemare ancora una volta l'aula. C'è il custode dell'ordine che riposiziona le ore e prepara il calendario per il giorno dopo; chi  prende scopa e paletta per il pavimento, chi quella piccola per i banchi; chi risistema i libri e chi riposiziona sedie e banchi.
La lezione termina, li accompagno dalle famiglie e rientro in aula. Mi guardo intorno e sorrido. Tutto arriva. È una bella sensazione quella che provo.
Bisogna davvero crederci, avere fiducia, saper attendere. 
Il lavoro più grosso è fatto. Siamo diventati una classe, conosciamo la nostra organizzazione, i nostri impegni, abbiamo fatto nostre le regole che abbiamo condiviso.
Tutti dentro, nessuno fuori. Pronti per essere una comunità che insieme scopre, riflette, apprende.
Ora tutto è possibile. E accanto a ciò che continua si può dare avvio a tanti nuovi inizi.

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