domenica 2 ottobre 2016

Noi genitori: Meglio esserci lasciati che non esserci mai incontrati

Post di Simona Banci

Una persona a me carissima, la fata madrina che a 10 anni ha letteralmente cambiato la mia vita, mi ha mandato uno scritto, un pezzo di vita, un frammento della sua storia, che si intreccia con quella di una bambina….
Lo scritto è struggente e poiché parla di bambini, purtroppo poco fortunati, vorrei condividerlo con voi.
Lo dedico a tutte quelle persone che avranno la delicatezza di accoglierlo.

Simona Banci

Meglio esserci lasciati che non esserci mai incontrati

Da bambina ho fatto in tempo ad avere una infanzia felice. Per tutti i bambini dovrebbe essere così. Una cosa facile da fare. Un diritto dovuto. Questo penso mentre, per stradine strette, attraverso campi coltivati. Arrivo e busso ad una porta chiusa a chiave dall'interno. Così mi dice una voce “aspetta devono prendere la chiave”. Respiro profondamente. Salire quelle scale richiede coordinazione, calma, attenzione, ritmo e testa libera dai pensieri. Ed invece comincio ad innervosirmi. Sono in pieno sole. Nessuno apre. Sento dietro la porta voci concitate. Ancora cercano la chiave. Entro. Lei mi prende le mani e mi si appende al collo. Ho messo il profumo che le piace. Con passo lento la seguo. Le cerco la mano piccina. Le accarezzo i capelli di vento. Cucina soggiorno. E’ un boato. Ciaoooooooooo. Ho portato patatine e coca cola per la merenda. Tutti intorno al tavolo. Qui non esiste la proprietà. Tutto è di tutti. Si condividono stanze. Armadi. Giochi. Punizioni. Tutti sanno tutto di tutti. Il passato. Il presente. Il futuro prossimo, se mai ci sarà. L’ultima udienza. Il nuovo decreto. Cosa ha detto l’assistente sociale. Quando si potrà avere un nuovo colloquio con i familiari. Protetto. Esterno. Intorno al tavolo mangiano patatine. Lei no. 
Vuole andare. Subito. Scambio qualche parola con la guardiana educatrice. Il gruppo torna al suo assetto iniziale prima del mio arrivo.

Davide perso dentro la musica delle cuffiette. Indolente. Apatico ad ogni proposta. Nero di pelle. Sardissimo. Quindicenne. Un ritardo grave. Madre demente. Sono cinque anni che vive in questa casa. Prima stava, per pietà, in un istituto religioso di assistenza ad anziani. Pochi stimoli. Poca scuola. Ora è tardi. Il tempo andato, andato. Il mese scorso il tribunale ha finalmente emesso il decreto di adottabilità. Ma oggi non lo vuole nessuno. Troppo tardi. Troppo grande. Brutto. Difficile da gestire con la sua disabilità mentale. Qualche volta è simpatico, ma dura poco. Esplode. Episodi di violenza incontrollabile. Oggi è innamorato. Questo lo tiene più calmo. Perso nel sogno di poter rivedere Laura. Scrive pagine e pagine demenziali. 
Gianni ha riacceso la tivù. Cambia canale nervosamente. Mi guarda storto. Ha gli occhi buoni. Ma ferite di anni dentro. Lo so. Vorrebbe venire. Mi sento in colpa. Ma Gianni ha attacchi continui per nonnulla. Sbraita. Scalcia. Picchia. Bisogna essere in due per tenerlo. Per evitare che faccia male. Che si faccia male. Una storia difficile alle spalle. Un tentativo di reinserimento nella famiglia dei nonni fallito dopo pochi giorni. Ha compiuto da pochi giorni 11 anni. La mamma gli ha mandato in dono una scatola di pennarelli. Un regalo per bambini piccoli. Ha talento nel creare, nel costruire. Ha una manualità gentile. Ruba trucchi. Trasforma la sua faccia al femminile. Con competenza. A volte si veste da donna. A scuola un disastro. Il suo giocare ambiguo. Per lui il progetto è un affido. Quello con i nonni non più fattibile. Quello con una nuova famiglia: una utopia. 
Carla ha 12 anni. Una madre albanese che va e viene a far cosa non è dato sapere. Non la può tenere. Provvedere ai suoi bisogni. Un padre non c’è. E’ qui da poco. Accetta la sua condizione. Parcheggiata. Accudita. Sente la madre ogni tanto. Non mostra emozione. Interesse. Vegeta. Si anima solo per vestiti modaioli. Giornaletti di Violetta. Litiga con tutti. Ha un carattere apparentemente tranquillo ma la sua rabbia si manifesta nel picchiarsi con le altre. Per stupidaggini. Per gelosie. Fare i compiti un problema. Si atteggia a ragazzina più grande. Il cuore rallenta. La testa cammina.
Giulia e Maria. Nere di pelle. P…… di cognome. Madre nigeriana. Padre andato. Chissà quando. 11 e 10 anni. Entrambe con un ritardo importante. Già sviluppate per la loro età. Hanno ormoni impazziti. Cercano maschi, non importa l’età. Li toccano. Li palpano. Insistono. Violente. Maliziose. Attaccabrighe. Non hanno quasi nulla. Allora prendono ciò che è delle altre. Nascondono. Rompono. Senza sensi di colpa. Impossibile, per i loro limiti, un ragionamento per un cambiamento di comportamento. Direi malefiche nel coalizzarsi ai danni degli altri. Sarebbe opportuno separarle. Ma come si fa. La madre ogni tanto, quando il giudice lo rende attuabile, si presenta ai colloqui protetti. E già le è difficile recarsi in un unico luogo. Sono seguite da un terapista esterno nominato dal tribunale. Risultati inesistenti. Animalesche nel rapportarsi. Pronte a graffiare. A difendersi sempre. Anche quando non è necessario. Rimbalzano colpe dall'una all'altra. Confondono. Mai una lacrima. Arruffate nei capelli cespugliosi. Disordinate. Fuori. Dentro. 
Li lascio così. Sento sulla nuca i loro occhi indagatori. Mi sento colpevole nel lasciarli li.
Li saluto uno per uno. 
La porto con me. Lei non li saluta. Sospira. In macchina una tempesta di emozioni. Le mie. Le sue. Sto sbagliando a portarla via per pochi giorni? So che devo riportarla, sa che deve tornare in quella casa. Ma è lucida. Precisa. Sa che è per pochi giorni. Volano le ore. Galleggiamo nel tempo del giorno. Soffriamo nella notte. In lei furia e grida. Tempesta. Incubi. Io le racconto storie. Di principesse e cavalieri. A lieto fine. Lei mi racconta le sue storie. Perquisizioni di carabinieri. Ospedale neuropsichiatrico. Giudici. Decreti. Avvocati. Ricorsi. Solo l’ultima notte non vegliamo. E’ un sonno rasserenato. Lungo fino al mattino. Poi il ritorno. Il pianto in macchina. Le scale. La porta chiusa a chiave. L’attesa dell’apertura. Musi lunghi ad accoglierci. Gianni dice con voce cattiva “sei rimasta cinque giorni”. Lei consegna pacchetti. Sistema i suoi regali. Deve fare in fretta. Ha l’appuntamento con la psicologa. Sbuffa. Non vuole andare. “Come stai? Cosa hai fatto?” questo il ripetersi ciclico delle domande nei colloqui.
“E poi sospeso tra i vostri "come sta" meravigliato dai luoghi meno comuni e più feroci tipo "come ti senti, amico fragile se vuoi potrò occuparmi un'ora al mese di te"  (Amico Fragile, Fabrizio De Andrè)”
Racconta. Sovrappone. Una camera tutta sua. Una vasca da bagno con acqua calda che non finisce. Un cane grosso come un peluche, che ha giocato instancabilmente. Il mare. L’aperitivo. Le compere. Le regole. Quelle che le vanno strette. Che la vedono sempre oppositiva, ma che mi dice: “mi mancheranno anche i tuoi NO!” 
Scappo. Sento chiudere a chiave la porta alle mie spalle. Il ritorno a casa per quelle stesse strade mi pare lunghissimo. 
Mi chiama la responsabile. Facciamo una verifica. Positiva per me. Positiva anche per lei, sempre così misurata nel ruolo. 
Tutto tornerà come prima. Tra qualche giorno la scuola. La terza elementare. La difficoltà a scrivere con quello strabismo che le rende problematico mettere a fuoco ciò che legge e ciò che deve scrivere. Abbisogna con urgenza dell’intervento. Almeno per risolvere la questione estetica. Dico alla responsabile che può contare su me. Conosco bene, purtroppo, lo strabismo. 
Il 25 settembre saranno 9 anni. Sarà domenica. E sarà quel che sarà.

Lalla

Nessun commento:

Posta un commento

Grazie per aver lasciato un tuo commento! La pubblicazione avverrà entro le 24 ore.
I contenuti offensivi o inadeguati saranno immediatamente rimossi.