domenica 23 ottobre 2016

Noi genitori: Ritrovarsi

Quest’anno, il primo giorno di scuola, ad attendere i bambini e tutti noi, c’era una grande sorpresa: maestra Maria Efisia.
Lei, in prima elementare, è stata una presenza importante e riaverla oggi di nuovo con noi ha trasformato un pensiero, in una certezza: il tempo non è mai trascorso; maestra Maria Efisia non è mai andata via.
In queste settimane, mentre la scuola ha ripreso spazio nel quotidiano dei nostri bambini, e inevitabilmente nel nostro, abbiamo sentito che questo rientro poteva offrirci una preziosa opportunità: quella di sapere cosa osservano gli occhi di maestra Maria Efisia a distanza di due anni e che cosa, dell’esperienza vissuta, è riuscita a portare con sè nelle realtà che ha incontrato. 
Come avrà trovato i nostri figli, lasciati in prima elementare alle prese con le prime letture e con le prime operazioni? Che cosa avrà trovato in classe rispetto a ciò che ha lasciato? Quali elementi di continuità e quali novità? E ancora: che tracce avranno lasciato in lei le scelte vissute durante l’esperienza insieme (il viaggio lento, la centralità della cooperazione, l’assenza di voti, il rapporto costruito con i genitori…)? Avranno poi trovato spazio nelle altre realtà, dove ha lavorato?
Così, oggi, dopo aver tradotto le nostre curiosità in una vera e propria intervista da rivolgere a maestra Maria Efisia, siamo qui a condividere le sue risposte con tutti voi.
A lei, il nostro sincero grazie, per avere accolto immediatamente la nostra proposta.

7 ottobre 2016, io e Simona Banci incontriamo maestra Maria Efisia...

Come ho trovato i bambini.
Li ho trovati molto cresciuti, non in altezza ma nel loro aspetto interiore.
Li ho lasciati che sapevano scrivere e leggere. Ancora oggi, ho un’immagine bellissima di quel percorso. Un percorso lentissimo che, inizialmente, nel vedere lavorare con semplicità la collega Enrica, mi aveva destato molta sorpresa. Quelle pagine di stampato maiuscolo; mentre tutti facevano il corsivo e lo stampato minuscolo.
La guardavo e cercavo di capire quale lavoro stava impostando. Non ho mai vissuto momenti d’incertezza e di disorientamento. Solo tanta curiosità, anche se non nascondo che quel lavoro mi aveva messo in crisi.
Perché la mia idea di scuola è sempre stata quella di una scuola semplice che fino a quel momento pensavo non si potesse fare e trovare. Invece non era così: quella scuola, in verità, poteva davvero esistere. Io l’avevo incontrata.
Sapete, a volte penso di non aver capito nulla della scuola, quando penso ai tanti quaderni pieni di scritte e immagini, il disegnetto alla lavagna, i vari pezzetti incollati, la parolina in corsivo, la parolina in stampato.
Ma ho incominciato a capire, quando ho visto quello che maestra Enrica offriva ai suoi bambini: poche immagini, il tratto. Cose semplici, pulite, curate, attente per tutti, dove nessuno poteva sentirsi escluso, perché proprio quel tratto, ogni volta che andava rivisto, anche cancellato, incoraggiava il bambino a riprovarci perché poteva farcela. E così è stato.
Un lavoro che richiedeva pazienza, un tempo dove i bambini in quella riscrittura ordinata e precisa, non per mania di perfezione, imparavano anche a organizzarsi. Un tempo bello, mai tempo perso.
Mi chiedete se c’è stata un’interruzione tra la prima e la quarta. Posso dirvi che io non l’ho sentita, ho visto piuttosto un continuo nel metodo che è andato semplicemente avanti, che è cresciuto, ma la forma è rimasta quella. I bambini sono cresciuti, sono andati avanti, ma non hanno cambiato la loro struttura.
Li ho lasciati insieme e li ho trovati ancora insieme. Io non solo lo vedo, ma lo sento questo forte legame tra loro, la solidarietà, dove non appena qualcuno si trova in difficoltà, il compagno interviene senza bisogno di dire nulla, e si affianca per aiutare, anche solo per sostenere. Sono un gruppo coeso. Questa è un’esperienza che ho già conosciuto, ma che ancora una volta sto vivendo con molto stupore e interesse; perché non è facile trovare una classe organizzata in questo modo e si coglie il grande lavoro della collega, la sua grande voglia e passione di portare la scuola in un’altra dimensione. Una scuola che non può riempire teste, ma che deve formare cittadini. Quello che conta è preparare i bambini perché nel mondo siano persone che sappiano muoversi, guardare e rispettare l’altro, capire quale strada dovranno scegliere e percorrere.
Un’altra cosa speciale che avevo visto e che ho incontrato oggi è quella di cercare i talenti in ciascuno. Tutti noi abbiamo qualcosa. Allora credo che una brava insegnante debba saper “tirar fuori” da ciascun bambino il meglio di sé. Questa è la sua formazione, l’educazione; questa è la scuola: quando l’insegnante riesce a ricavare il meglio da ciascuno, senza distinzione, anche dal disabile più grave. Perché anche lui ha qualcosa da darti, non ti riempirà il quaderno di certo, forse non parla, ma di sicuro ti da qualcosa di importante. 
E attraverso la valorizzazione del singolo e la coesione dei diversi soggetti, il gruppo diventa forte, perché attingendo da ognuno, il beneficio diventa per tutti.
Oggi ho incontrato una classe molto spigliata, molto sicura, bambini rafforzati nell’autonomia, anche quelli che in prima elementare erano più timidi, insicuri, ora sono sbocciati. Bambini che fanno tutto con molta naturalezza e velocità, riuscendo così a risolvere qualsiasi situazione sapendosi gestire per trovare la soluzione anche davanti all’imprevisto. 
E’ una classe dinamica. L’idea di cambiare posto, di essere interscambiabili, porta tutti ad essere uniti perché muovendosi possono stare tutti insieme. E imparano a conoscersi, a relazionarsi, ad ascoltarsi. Sicuramente ci sono bambini che provano una simpatia maggiore rispetto ad altri, è normale, ma nel momento in cui ci si confronta, si lavora, esiste la sincera disponibilità  a essere per l’altro e a stare bene con l’altro. I bambini stanno bene vicini perché vogliono lavorare insieme. Non ho mai trovato dei risentimenti. 
Sapete, questa mattina ho vissuto un momento speciale durante un nuovo cambiamento dei posti. Occorreva riorganizzare e nel capire come spostare i bambini, la nostra attenzione non era rivolta solo alle postazioni, ma stavamo cercando di bilanciare i gruppi guardando il singolo bambino con gli occhi rivolti al gruppo. Questo è fondamentale, significa non lasciare spazio alla banalità. Così siamo rimaste mezz’ora a decidere come spostare i bambini…ma non è stato un tempo perso. C’erano una finalità e una ragione ben precise: nessuno doveva sentirsi solo o perso. Tutto allora è stato soppesato, per garantire un equilibrio capace di creare nel gruppo l’unione forte, per far stare bene nell’insieme e nel singolo. 
Ritorno un momento a questa attenzione, a questo tempo sentitamente dedicato agli spostamenti dove si guardava ogni singolo bambino insieme agli altri per farti una domanda. Oggi molti genitori ritengono che il lavoro individuale possa essere l’unico reale strumento che permette di avere una visione chiara del bambino. Nel senso che riesci a conoscerlo e valutarlo bene solo se il bambino lavoro da solo; certe restituzioni le puoi avere solo in un rapporto diretto con lui. Qui, nella nostra esperienza, il bambino invece lo vedi di più, nella sua totalità, proprio all’interno di un gruppo. Cosa diresti a quei genitori?
Che sono assolutamente convinta che il lavoro di gruppo sia un’enorme risorsa. In un lavoro esclusivamente individuale il bambino non si manifesterà mai nella totalità del suo essere. Perché è proprio il gruppo che fa venire fuori quello che il bambino è: nelle sue debolezze, nelle sue sicurezze, nei suoi apprendimenti.
Eppure molti dicono che se c’è un lavoro di gruppo o di coppia, non si può capire quanto c’è veramente di quel bambino…
Non è importante quanto c’è, l’importante è che lui ci sia e ci sia nel gruppo.
I genitori hanno ancora un’idea legata alla scuola tradizionale, che quantifica l’essere umano. Tu vali 5, tu 6 tu 8, tu non vali niente. Ma non è assolutamente così. Il bambino che lavora nel gruppo forse potrà anche non scrivere o esprimere un suo pensiero, ma nel gruppo vede fare, osserva, ascolta e arriverà il momento in cui anche lui riuscirà a restituire.
Vorrei aggiungere un’altra cosa, una caratteristica che rende speciale i bambini della quarta A. Solitamente, i gruppi sono capeggiati da un leader. Nella nostra classe non è così, non esiste un leader che prevale e non lascia spazio agli altri. Esiste chi organizza sempre nel confronto e nella condivisione, permettendo anche al bambino più timido, o che incontra più difficoltà, di affrontare e vivere tutto con serenità. In fondo, fanno la stessa cosa che facciamo noi insegnanti…
Questo è il lavoro dei nostri bambini, lavoro non facile, poiché finalizzato alla reale inclusione e non alla formale appartenenza al gruppo: includono per coinvolgere, sollecitare, stimolare al fare. E se qualcuno è distratto, lo interpellano per riportarlo dentro, perché tutti si sentano parte l’uno per l’altro. Capite il lavoro enorme di questi bambini? Sono bambini maturi. 
Io ho visto bambini e bambine faticare per coinvolgere il compagno che presenta delle difficoltà; una fatica che trova motivo e forza dall’assoluta volontà e impegno a non lasciare il compagno finché non conclude il lavoro. Questa è una grandiosità, bambini con una grande sensibilità che si dedicano con cura e attenzione all’altro. Tutti dentro nessuno fuori.
E devo dire che, purtroppo, in questi due anni che ho trascorso in altre realtà scolastiche, sono entrata in un mondo totalmente diverso, un mondo completamente chiuso. La maestra in cattedra, che consegna i lavori da svolgere, le schede neanche rifinite, neanche incollate bene, nessuna cura, bambini allineati. 
Pensate che, in occasione degli scrutini, i voti venivano assegnati pensando ai genitori. E quel bambino che, a parere dell’insegnante, durante l’anno, non aveva fatto nulla, non valeva nulla. Erano bambini soli. Come in verità lo erano anche le loro famiglie, che pensavano ancora al 10, che non sarà mai un 10. 
Io ho ancora l’immagine ferma a quel mio zero spaccato in seconda elementare per la paginetta di “P” che non era così brutta…forse la maestra non aveva gli occhiali adatti…e quindi quello zero spaccato, scritto con la matita azzurra (non con la matita rossa), mi ha segnato per tutta la vita. Quello zero mi ha fatto credere di non valere niente, anche quando la stessa insegnante mi ha fatto scendere dal palco per una recita di carnevale. Ancora una volta non valevo niente.
Io non penso di non valere niente. I voti al macero. Perché tutti valiamo 10. Ne sono profondamente convinta, anche al di là dell’esperienza che ho fatto.
Parliamo ora dei genitori che ho visto con grande commozione entrare in classe. 
In questi giorni sto riflettendo molto sulla famiglia che oggi sta vivendo delle grandi difficoltà. Per questo credo profondamente che portare la famiglia dentro la scuola sia un dovere urgente di chi ci amministra, e la scuola deve ruotare intorno al bambino e alla famiglia, deve essere strutturata per supportarli e rassicurarli.
La famiglia dentro la scuola io l’ho conosciuta in questa classe; un’esperienza speciale, importantissima e straordinaria. Quando i miei figli frequentavano la scuola sapevo che se la cavavano, i quaderni parlavano, ma io volevo vedere altro, vedere cosa erano i miei figli in classe. Ai colloqui chiedevo di non dirmi se la bambina sapeva leggere o scrivere e se era brava, ma di riferirmi come mia figlia si comportava con le maestre e con i compagni. Desideravo sapere chi era e come si muoveva dentro l’aula. E quando ho visto voi genitori entrare in classe, è stata una grande emozione che mi ha allargato il cuore, perché con voi, quel mio desiderio, si era realizzato.
Pensi veramente che il genitore sia pronto a entrare nella scuola? Intendo dire: finché tu sei fuori non vedi, quando tu sei dentro vedi. E vedi con i tuoi occhi, vedi cose che ti piacciono e cose che ti possono non piacere, magari perché non le capisci e la maestra tenta anche di spiegare. Tu pensi veramente che noi genitori oggi siamo pronti ad entrare dentro la scuola o non si rischia, a volte, di fare, scusa il termine, dei danni? Perché noi genitori siamo difficili, a volte non capiamo, altre non vogliamo vedere, poi, quando tu te li porti troppo dentro, possiamo creare più problemi che restituzioni.
Fa parte del gioco. Quando però si è veramente convinti, quando si è ben preparati, quando non si ha paura di esporsi e aprirsi, il genitore si deve portare dentro, perché solo così si crea quell'alleanza educativa del fare bene solo insieme. Ciascuno, con le proprie risorse, limiti e imperfezioni. Questa sola può essere la scuola vera, con il genitore dentro. Poi, certo, occorre trovare il modo, capire come far entrare la famiglia perché si senta parte di un percorso. E non credo che per voi genitori sia stato facile entrare in classe in prima. Vi siete messi in gioco, come l’insegnante che vi stava accogliendo.
Certo, ci può essere quel genitore che non condivide pienamente le scelte della maestra, perché non le ha capite o non le sa capire. Va bene, ci sta. Però, la famiglia non può restare esclusa dal percorso educativo che offre la scuola. 
Ti volevo fare un’altra domanda, perché poi penso che queste siano le risposte che la gente cerca fuori. Questo metodo al quale noi ci stiamo approcciando - che per noi è anche complesso, perché ci devi proprio credere, lo devi capire, la maestra spesso lo deve anche rispiegare – non è semplice, intanto per la maestra che lo propone e lo utilizza, che per il genitore. Perché è molto più facile vedere che tuo figlio ha scritto quella frase, su quella frase ha preso un voto e su quello relazioniamo. Ma, ripercorrendo il tuo discorso sui gruppi, sulla coesione, sull'aiuto a quel bambino con maggiori difficoltà etc…lo stesso metodo rivolto invece a quei bambini che trovano facilità nell'apprendimento, secondo te, che valenza ha? Aiutami a capire: che stimoli hanno i bambini che trovano facilità nell'apprendimento rispetto a questo metodo? Che cosa diresti a un genitore di un bambino che non ha problemi nello studio?
Devo partire da un atto di onestà. Io questo metodo non lo conosco, non lo possiedo e non lo possiederò mai perché ci vuole un percorso lunghissimo, ci vuole molta passione, molta conoscenza, molta competenza. Una cosa, comunque, la posso dire con assoluta certezza e convinzione, perché lo sto vivendo in prima persona. Questo è un metodo che espone al passo più alto. Sempre più avanti. Un metodo che espone il bambino. 
Proprio in questi giorni pensavo a quello che non si vede sul quaderno, che ha un valore inimmaginabile. Credetemi, dai vostri figli ho sentito argomenti, l’uso di certe parole ed espressioni, che sono lontane da un bambino di quarta. E le ho sentite proprio da quel bambino che a volte è disordinato, che non sempre è puntuale nelle consegne, ma che quel giorno, durante un lavoro di rielaborazione di un testo, ha detto “maestra, sono pezzi di noi”. Come può un bambino di quarta elementare usare un’espressione così? Sul quaderno questo è un lavoro che non si può vedere, certe emozioni non si possono scrivere, fermarle in questo modo. Quel bambino quella mattina andava solo ascoltato. Dopo il buongiorno, penso alla bellezza di lasciare ai bambini quei cinque minuti per salutarsi, per raccontarsi i sogni e le aspirazioni, per far emergere qualcosa di importante, per tutti. In quel momento prezioso e unico, del quaderno non ce ne facciamo niente. Possiamo metterlo tranquillamente via, perché rischiamo di riempirlo di nulla.
Hai detto una frase che prima mi ha colpito, hai detto a un certo punto che la maestra solleva il tiro, costringe a fare il passo, poi ci sarà chi lo fa prima e chi lo fa dopo, chi sarà aiutato a farlo...
Certo. La maestra provoca. E tutti rispondono. E forse non lo faranno tutti, ma basta che inizi uno, e gli altri sono pronti a seguirlo. E’ in questo modo che si forma il gruppo e il singolo bambino. Perché chi si muove da solo rischia di rimanere chiuso, legato e fermo nella propria individualità. 
Diciamo anche un’altra cosa, così dall'intervista lo facciamo uscire. Quando uno è bravo e questa sua bravura rimane nel quaderno, lo vede lui che è bravo, la maestra e la madre che vede il voto. E li rimane, una bravura sterile. Quando invece questo talento, questo contributo, è per tutti, è una bravura reale.
Si, ogni bambino contribuisce a che il resto del gruppo possa usufruire di quel contributo. 
Vi faccio un esempio. Un testo fatto nel gruppo permette che tutti possano portare qualcosa, chi un pensiero breve, chi più articolato, ma nel metterlo insieme tutti imparano a fare il testo che diventa di tutti.
In questa classe vedo tanti bambini che in altre situazioni potrebbero essere lasciati soli, magari portati anche fuori. Invece qui dentro c’è lo sforzo, enorme, di tenerli tutti dentro, esporre anche quel bambino che presenta alcune difficoltà per aiutarlo a capire che deve fare quello che può, riconoscersi, semplicemente, per quello che è, niente di più. Questo è molto importante.
Prima di salutarci, sentiamo il bisogno di porgerti un’ultima domanda.
Alla fine della prima, hai salutato i bambini con una frase che ci è rimasta molto impressa: “Siate sempre il meglio di qualsiasi cosa siate”. Vorresti condividere oggi con noi il significato di queste parole?
Io sono sempre più convinta che ciascuno di noi nel suo essere è un essere importante, unico, fatto per essere al centro del mondo e sono più che convinta che ognuno di noi è bello per quello che è non per quello che fa. E’ bello per il motivo per cui esiste.

Maestra Maria Efisia

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