Impossibile per me, soprattutto in questo momento, non rivolgere un pensiero al post “Non voglio una scuola a forma di quaderno!”.
Lo dico subito: quella scuola, come genitore, non la voglio neanche io.
Né a forma di quaderno, né a forma di libro. Ne tantomeno a forma di adulti.
Non voglio una scuola che deve accontentare e soddisfare insegnanti e genitori che valutano la qualità scolastica, il valore e la bravura dei soggetti coinvolti, in base al prodotto ottenuto e portato a casa, visibile agli occhi e di “facile” riscontro, interpretazione e giudizio.
Una scuola che in questo modo si dimentica di mettere al centro il bambino preoccupandosi di dover dimostrare e consegnare, in modo tangibile ed evidente, solo i risultati raggiunti, i lavori e progetti realizzati, senza però tener conto del come, ma solo del quanto.
Una scuola, quindi, che non parte dalla realtà del bambino, dai suoi bisogni e desideri, ma al contrario parte da ciò che l'adulto ritiene necessario e fondamentale per raggiungere gli obiettivi, i suoi obiettivi, caricando inevitabilmente il bambino della responsabilità di apprendere.
Non voglio – e qui riprendo un pensiero che non abbandonerò mai – una scuola che si concentra esclusivamente sui risultati ottenuti dal bambino, perché si rischia di trasmettergli l’idea che il suo valore è ridotto alla sua bravura. E il bambino non è un voto.
Per tutto questo, non voglio una scuola che riempie i quaderni. Quaderni che devono per forza dimostrare e documentare, che, nel rappresentare una programmazione totalmente slegata ai bisogni e alla realtà del bambino, assomigliano a una “catena di montaggio” dove si cerca di assemblare e confezionare contenuti e concetti con velocità, segno appunto di un apprendimento "ripetitivo e riempitivo".
Io, di quei quaderni pieni di tutto, non me ne faccio proprio N I E N T E! se lì dentro non ci sono i miei figli; se quei quaderni oggi sono colmi di caratteri e contenuti faticosi e sudati, di parole e numeri che spesso hanno solo significato riempitivo e poco comprensibile; se domani rimarranno solo un ricordo di un apprendimento, di un sapere che ha lasciato ben poco o addirittura nulla, nella testa e nel cuore.
Vi chiedete allora cosa voglio? Non voglio l'impossibile, solo una scuola a misura di bambino.
Una scuola lenta, profonda e dolce. Una scuola primaria “elementare” - come dice il termine - semplice, facile, dove bambino e insegnante possano prendere il loro tempo senza fretta, il tempo che serve per imparare e vivere davvero, con serenità. Una scuola attenta, che sappia offrire un apprendimento significativo, che sappia cogliere non solo i bisogni primari, ma anche quelli che “sussurrano”. Un apprendimento che nasce dall'esperienza, dal fare, dal confronto, dalla scoperta, dalla conquista, dalla curiosità, dalla motivazione, dall'entusiasmo, dall'interesse, dalla partecipazione, dalla sperimentazione, dai tentativi, dagli sbagli, dalla creatività, dalla cooperazione, dall'amore per il nuovo, dall'attesa, capace di coinvolgere il sentimento oltre l’impegno e l’intelligenza, dove il bambino è il protagonista, l’autore del suo sapere.
In questa scuola l’insegnante, nel trasmettere la conoscenza, aiuta il bambino a scoprirla dentro di sé; solo così verrà interiorizzata, elaborata, compresa, radicata e poi…restituita. Allora insegnare e imparare diventano un incontro: essere capaci, insieme, di costruire la strada camminando, dove i saperi si smontano e si ricostruiscono, si guardano da prospettive diverse e si rielaborano. Ma alla fine saranno saperi che rimangono.
E in questo costruire è racchiusa la conoscenza, il traguardo più importante: il metodo. Quello che si apprende, lo si apprende per tutta la vita e non per il breve spazio di tempo legato a una lezione, a una prova, a un compito e a una verifica.
Ora, mi permetto di aggiungere un’altra domanda. Di che cosa ci dovremmo veramente preoccupare? Dei quaderni vuoti, dei pochi compiti, dei dubbi sui risultati di una scelta educativo-didattica o di altro?
Intanto rispondo io.
La mia più grande preoccupazione e timore, è che quando sarà terminato questo percorso scolastico, mio figlio non potrà più avere accanto la maestra che, accogliendolo e accompagnandolo, lo sta facendo diventare, giorno dopo giorno, passo dopo passo, l’uomo del domani. La mia preoccupazione è che qualcuno, proprio in quel domani, possa permettersi di distruggere tutta la bellezza e meraviglia che mio figlio, grazie alla sua maestra, sta imparando e vivendo. La mia preoccupazione è che mio figlio, sempre in quel domani, possa incontrare insegnanti che lo lasciano solo, perché non hanno la stessa sensibilità, cura e attenzione della sua maestra, per lui dono davvero prezioso, che attraverso i suoi insegnamenti, fiducia e incoraggiamenti gli ha fatto acquisire fortezza, determinazione, consapevolezza e autostima, la conoscenza di sé.
La mia preoccupazione è unicamente questa. Nessun'altra.
Ecco, io non sono e non voglio essere un genitore che solleva muri, ma che al contrario ama costruire ponti.
Non sono un genitore che ha l’angoscia dello zaino vuoto, leggero…
L’altro giorno stavo seguendo mia figlia nei compiti a casa. Doveva leggere un racconto: parlava dei talenti. Di una bambina che non sapeva leggere, scrivere e contare, ma sapeva disegnare meravigliose farfalle colorate. Da quella lettura, uno scambio.
- Ognuno di noi ha dei talenti, però se potessi esprimere un desiderio, quale talento vorresti avere?
- Vorrei volare.