Nel tempo dedicato ad Aula Aperta, l'iniziativa che accoglie i genitori durante le normali mattine scolastiche, c'è anche la ricreazione. Un bel momento per andare all'aperto tutti insieme e per scambiare con loro qualche riflessione a caldo.
Ne raccolgo diverse. Quella che arriva sempre è la gioia di essersi potuti presentare in classe con i propri figli; di aver abitato per qualche ora quegli spazi che di norma gli sono preclusi e di aver potuto vedere con i propri occhi quei vissuti conosciuti solo attraverso i racconti. E ancora il piacere di poter conoscere direttamente che cosa contiene quell’ora rosa che apre la giornata, e in cui trovano spazio gli apprendimenti più importanti, per poi respirare il clima di classe nelle ore successive, quelle dedicate all'attività di scoperta.
- Ora capisco tante cose... - Questo arriva.
Ma, l'altro giorno, una mamma mi ha detto qualcosa di più. Senza troppe parole, mi ha offerto la restituzione di quello che ha guidato le mie scelte in modo sempre più consapevole, più formato, negli ultimi sei anni. È una riflessione che mi ha espresso mentre eravamo lì che osservavamo i bambini giocare e sorridevamo davanti alle dinamiche relazionali in costruzione...
Ma, l'altro giorno, una mamma mi ha detto qualcosa di più. Senza troppe parole, mi ha offerto la restituzione di quello che ha guidato le mie scelte in modo sempre più consapevole, più formato, negli ultimi sei anni. È una riflessione che mi ha espresso mentre eravamo lì che osservavamo i bambini giocare e sorridevamo davanti alle dinamiche relazionali in costruzione...
- La cosa bella - mi dice - è quanto vengono a scuola volentieri. L'altro giorno parlavo con un'amica che mi diceva che suo figlio, anche lui in prima, non vuole andare a scuola. Sta sviluppando rifiuto. È stanco; ha sempre tanti compiti. Mio figlio invece si alza con piacere e viene a scuola volentieri e non lamenta mai stanchezza. Non ha compiti, eppure vedo che gli apprendimenti ci sono tutti. Vedo come legge, come conta e che non perde occasione per farlo... Il punto - aggiunge, riflettendo - è che poi alla fine, nonostante tutto, i genitori si fermano sui quaderni, quanti ne sono stati completati, le pagine del libro. Si preoccupano se non compare subito il corsivo... -
So bene cosa mi sta dicendo. Lo so. Alla fine i genitori, proprio come tanti tra noi maestri, pensano che quella, in fondo, sia l'unica scuola possibile, l’unica che prepari. Ma mi ha dato le due informazioni che per me contano più di tutto. Il bambino, suo figlio, viene a scuola volentieri (ho sempre visto come una grande sconfitta della scuola spegnere in pochi mesi la motivazione che infiamma i bambini i primi giorni in prima elementare...), e sta apprendendo bene, nonostante non abbia compiti, e anche lui, come mi hanno detto già diversi genitori, non perde opportunità per leggere e calcolare, per portare le nuove conquiste in ogni spazio della sua vita, e mostra tanta curiosità per ogni cosa.
Mentre mi parla, e glielo racconto, ripenso allo stupore delle maestre neo immesse in ruolo quando, martedì scorso, durante il Visiting, hanno scoperto (e visto) che uso un solo quaderno per tutto, che non utilizzo libri di testo, che non do compiti... Alla loro sorpresa nel trovarmi così serena davanti alle mie scelte nell'insegnamento della letto-scrittura: un solo allografo, nessun esercizio ripetitivo, se non quello del gesto grafico. E lettura strumentale con le sole liste di parole, per il resto tanti libri scelti liberamente dai bambini...
Io non credo che la prima elementare sia l'anno della strumentalità. Per me è l'anno in cui farli innamorare della scuola. Non significa che la strumentalità sia in secondo piano, che io non guardi in quella direzione di continuo, con attenzione e interventi sistematici. Ciò che faccio è creare le condizioni per una conquista naturale, che passi sempre dentro percorsi di senso.
Il primo giorno di scuola ho chiesto ai bambini che fremevano dalla voglia di scrivere (in prima elementare si va per scrivere!) a cosa servisse la scrittura. - Perché scriviamo? - Beh nessuno di loro se l'era mai chiesto e nessuno glielo aveva mai domandato... - Si scrive per imparare le lettere! - è l'unica risposta che è arrivata. Oggi so che sarebbe un'altra...
Ciò che deve essere chiaro, per questo sono felice quando qualcuno inizia a leggerlo nella serenità della classe, nella qualità dei lavori, nella solidità degli apprendimenti, è che evitare il carico cognitivo, e scegliere di semplificare, di alleggerire, non significa offrire meno e allineare verso il basso. Significa fare spazio ai significati, scegliere la didattica dell'affondo.
Alle pagine di copiatura, scelgo la lettura di tante storie, la narrazione. Scelgo di provocare domande sul senso delle cose, di far riflettere i bambini su ciò che avviene in classe e intorno a noi. E do loro occasioni, tante occasioni, perché imparino a trovare le parole e la forma migliore per dare voce ai loro pensieri.
Alle pagine di esercizi sui numeri, introdotti uno alla volta, scelgo di usarli, semplicemente, ogni giorno. E mi piace organizzare le attività perché gli apprendimenti si costruiscano con il fare insieme, misurandosi con le proposte, provando, sbagliando, per poi fermarsi a rileggere insieme.
Mi sono sempre fatta una domanda, certamente molto banale, ma importante per me che mi interrogo sul senso di tutto. La nostra è una scuola invasa dai libri e dai quaderni. Una scuola dove si scrive l'impossibile. Allora... perché nella nostra Italia nessuno sa più scrivere? Non saranno proprio l’assenza di spazio e tempo per alzare lo sguardo, per guardarsi intorno, per farsi domande, per confrontarsi con l’altro, a privarci della capacità di esprimerci?
Che bello leggerti Maestra Enrica. Ritrovo nelle tue parole quello in cui credo, il mio modus operandi.
RispondiEliminaGrazie