“Abbiamo tutti dentro di noi un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci signore, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente, le assume con il senso e col valore che hanno per sé, del mondo come egli l'ha dentro? Crediamo d'intenderci, non ci' intendiamo mai”.
Aveva ragione Pirandello, se penso a quello che accade quando le parole non riescono a veicolare le emozioni, a consegnarle per come vengono vissute. E lo stesso succede quando si desidera raccontare la bellezza e nel tentativo di farlo le parole che usiamo quasi cambiano forma e alle volte si sgretolano nel passaggio dal dentro al fuori.
Ma ci provo, anche fosse solo per riuscire a dare voce alla gratitudine.
Fiera del Libro, Piazza Lamarmora.
Tutto è pronto. La maestra chiama i suoi bambini in cerchio per gli ultimi momenti organizzativi poi, con delicatezza e discrezione si sposta, fa un passo indietro, si fa presenza silenziosa, punto di riferimento certo. Ben equipaggiati, è giunto il momento di lasciare i bambini liberi di esplorare e conquistare il loro piccolo mondo. La maestra sa che ora possono fare da soli, non sentendosi soli, come sa che l’inatteso è sempre dietro l’angolo ma che non è una minaccia, non lo è mai stato per lei, è invece quell’ingrediente esclusivo che alle volte non deve mancare…
Osservo i bambini con emozione, anche con un pizzico di incredulità, le stesse sensazioni che negli anni mi hanno accompagnato e che mi hanno permesso di assaporare e apprezzare ogni attimo del percorso di mio figlio; solo che oggi avverto che c’è qualcosa di più. Mi metto in ascolto.
Sicuri, i bambini formano i gruppi, prendono posto sui cinque tappeti blu, sistemano i cuscini e tutto il materiale che hanno preparato con l’aiuto delle maestra e la collaborazione dei loro genitori, controllano che non manchi nulla; aprono i libri e iniziano a sfogliarli, si confrontano con i propri compagni. Sono sicuramente i loro ultimi accorgimenti.
Le persone si avvicinano incuriosite, uno sguardo veloce e proseguono, poi si fermano e si voltano: no, vogliono scoprire cosa hanno organizzato quei bambini della 1ª A di via Roma, così decidono di sedersi e ascoltare. Ed ecco i bambini, padroni del loro piccolo, grande mondo. Si muovono con disinvoltura e mi rendo subito conto che hanno ben chiaro cosa devono fare e non si intimoriscono davanti a un pubblico che incontrano per la prima volta. Raggiungo un gruppo per sentire meglio e vengo invitata subito a sedermi; mi fanno scegliere il libro che desidero ascoltare, a turno - capita anche insieme, senza sovrapporsi - iniziano a leggere. Posano per un istante il libro sulle loro ginocchia, vogliono fermare un particolare, che magari a me è sfuggito, e spiegarlo; certi che io abbia compreso riaprono il libro e riprendono la lettura. Li vedo dividersi naturalmente i compiti: mentre un bambino racconta, l’altro sfoglia il libro seguendo attentamente le parole del compagno per offrirmele con le immagini. Fanno delle pause, ma non sono per la stanchezza, sono pause per riordinare velocemente il pensiero, per arricchirlo e… sono pause di attenzione all’altro. Davanti alla difficoltà di un compagno, con cura lo aiutano senza mai sostituirsi o spazientirsi, si avvicinano in maniera composta e si mettono accanto. Si, lo so, perché l’ho imparato anche io, la loro maestra gli ha spiegato che nessun limite deve spaventare, che non è definitivo e insuperabile e che saperlo riconoscere e accettare equivale a superarlo o semplicemente a spostarlo un po’ più in là. Ed è così che le parole rivolte al compagno in difficoltà sono un semplice sussurro di incoraggiamento che le rende impercettibili alle mie orecchie ma chiare al suo cuore… perché vedo gli occhi del bambino sollevarsi, accogliere la vicinanza e l’aiuto del compagno e illuminarsi. Con lo stesso sentimento sono felici davanti alla sicurezza e disinvoltura dell’altro, lo guardano soddisfatti e gli rivolgono un bel, sonoro bravo! e non accontentandosi gli regalano un sorriso e un caloroso abbraccio.
La lettura e il racconto giungono alla fine, rivolgo ai bambini alcune domande, con decisione mi rispondono anche se comprendo subito che non vedono l’ora di porgermi la carta domanda che hanno preparato e farmi lanciare il dado con le parole chiave del libro: vogliono che ora sia io a parlare, credo proprio (anzi ne sono certa) che vogliono capire se sono stata attenta, se li ho ascoltati e se sono disposta a lasciare un pochino di me…
La presentazione finisce, mi ringraziano, con fierezza e gioia mi consegnano un segnalibro, invitandomi a scrivere un pensiero e fanno spazio ai bambini più grandi, agli ex alunni che sono seduti in mezzo a loro e con i quali non sono servite prove per capirsi e intendersi, perché diano il loro contributo. Sono insieme, piccoli e grandi, eppure sono uno, sono il presente. Sono insieme con la voglia di esserci, di voler prendere parte alle cose vere, di dare un senso alle cose che contano, con semplicità. Sono squadra. Incredibile, eppure è realtà.
Sono trascorse oltre due ore e la stanchezza inizia a farsi sentire, eppure la determinazione, l’entusiasmo e l’impegno di esserci fino alla fine, completamente, sono più forti. Alcuni bambini si sdraiano tra i cuscini, stanno solo concedendosi un attimo di riposo; altri hanno bisogno di muoversi. La situazione lo consente (è l’attimo senza pubblico) e sanno che possono farlo. Conoscono bene quelle regole che hanno costruito e definito insieme alla loro maestra. Che è sempre lì, delicata. Presenza costante, attenta.
Lei conosce i suoi bambini, sa quanto amano vivere la vita a tutto volume, ma sa anche che ogni libertà e autonomia raggiunta sono il risultato di conquiste quotidiane, spesso faticose, dove occorre essere adulti responsabili e soprattutto coerenti, dove il pensare e il fare devono essere sempre allineati mai divergenti. Ne sono certa, niente di quello a cui sto assistendo sarebbe stato possibile senza queste conquiste, senza mettersi in gioco e in discussione con tanta onestà e altrettanto coraggio.
Ho finito di ascoltare i gruppi, mi metto in un angolo, fuori dal cerchio e faccio scorrere lo sguardo sui bambini. Sorrido perché sono anime ricche tutte diverse, uno splendido mosaico, fatto di colori e sfumature brillanti. Ognuno è presente con la sua storia, con il suo bagaglio, con le sue forze e le sue debolezze, con i suoi talenti, con la sua energia, con il suo massimo e con il suo poco, ma certo di sentirsi una piastrella viva che ha valore soltanto nell’insieme… se mancasse, quel mosaico risulterebbe incompleto. Come la sua bellezza. Li vedo felici. Li vedo felici con la loro maestra, la cercano, anche solo per un abbraccio o uno scambio veloce e poi corrono via sapendo che lei è sempre lì, per loro, con loro. Questo è quello che davvero conta.
Il mio sguardo, ora, lo fermo sulla maestra, la vedo stanca ma come i suoi bambini, felice, grata. Le rivolgo in silenzio il mio grazie e la esorto con tutto il cuore a non smettere mai di osare, di alternare richieste molto alte, che creano problemi anche a lei che le propone. Perché il possibile, l’incanto, il senso è racchiuso proprio qua: quando lei provoca e solleva il tiro e i bambini fanno lo stesso con lei. Significa avere fiducia nelle possibilità dei bambini, riconoscere l'altezza di ciascuno e permettergli di volare alla quota che è in grado di raggiungere e spingerlo un pochino più su quando è il momento. Perché può. Perché scoprirà che può. Significa esserci e rimanere quando questo accade. Significa riconoscere, significa riconoscersi. Significa credere nelle proprie scelte e saperle rivedere, quando serve, con umiltà. Significa entrare in quelle scelte e viverle. Significa costruire e ricostruire, sempre, con tutti.
Infine il mio sguardo va ai genitori, ai nuovi. Uno di loro si avvicina e mi ringrazia. Sono io a ringraziare, perché ritornare in classe, nella 1ª A, non è stato un tornare indietro nel tempo, ma sentirmi ancora parte di un oggi. Lo dicevo a una mamma durante i preparativi, ci sono percorsi che non finiranno mai e che non smetteranno mai di essere dono… e quanto già sapevo, ora lo comprendo ancora di più, quanto già sentito, ora lo sento più forte.
Concludo con un pensiero, una convinzione che porto sempre con me. Un genitore mi saluta con queste parole: - Quando noi genitori iscriviamo i figli a scuola, pensiamo che se mai non dovesse andare bene ci sono tante altre scuole. Non è assolutamente così. Scuole come questa non ce ne sono tante, anzi sono davvero poche, pochissime. E anche se siamo all’inizio, io, a questa scuola, devo molto. Perché qui c’è di più, tanto di più -
Caro genitore, hai detto una grande verità, che porto sempre con me e la ripeto qui ad alta voce.
Mio figlio ha vissuto una scuola dove c’è stato sempre tanto di più, non di meno…Perché a scuola ci si entra come persone e non può esistere apprendimento lontano dalla vita…
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