martedì 26 luglio 2016

Scusate, ma di quale scuola parlate?

Mi sta capitando sempre più spesso di leggere interessanti post e articoli che parlano di una scuola in cui c'è troppa tecnologia, e che insistono su affermazioni, che peraltro condivido completamente (chi non le condividerebbe?), che non sarà questa a migliorare la scuola, ma che a essere importante è il clima educativo, le relazioni che si costruiscono, il saper valorizzare la cooperazione ed essere attenti ad ognuno, promuovere una didattica motivante e capace di avvalersi di tutte le possibili strategie. Poi leggo di una scuola che ha completamente abbandonato gli apprendimenti mnemonici e ripetitivi, che sta abituando troppo a forme di apprendimento che, appoggiandosi a memorie altre, fanno correre "il forte rischio che nella nostra testa non rimanga nulla".
E ancora di scuole che semplificano troppo gli apprendimenti, che non educano al sacrificio, che non "abituano alla frustrazione".
Io mi sorprendo, ma nella maggior parte dei casi non intervengo, un po' perché sono confronti tra persone decisamente più competenti di me, e la mia voce da maestra non sarebbe considerata abbastanza autorevole, un po' perché i toni degli scambi non sono nelle mie corde. A volte sembrano proprio sparatorie che cercano di assicurarsi l'ultimo colpo.
Ma oggi, da qui, dal mio blog, che è un po' casa, una domanda voglio farla: - Ma quali scuole frequentate? Dove sono le aule piene di strumenti che stanno sacrificando la buona didattica alla tecnologia? Dove sono tutti questi insegnanti che ne fanno largo uso, tanto da preoccuparvi?
Possibile che siano gli stessi che conosco io e quelli di cui parlano i nostri studenti e i loro genitori, quelli dei racconti in cui io riconosco ancora la “scuola della forma libro"?
E poi: - Sicuri di conoscere le pratiche più diffuse nelle nostre scuole?
Possiamo stare tutti tranquilli. Gli apprendimenti ripetitivi sono ancora quelli che hanno la meglio. Le lezioni, nella maggior parte dei casi, hanno ancora il format che abbiamo conosciuto da studenti: spiegazione, pagine da studiare, esercizi, verifica. Ancora molti di noi insegnanti accolgono solo le risposte che si aspettano e non ammettono l'errore.
E dove sono, indicatecele, quelle scuole in cui la frustrazione non esiste più. Ve lo chiedo, perché in quelle che conosco io, e posso affermare di conoscerne molte, di frustrazione ce n'è tanta e di motivazione se ne costruisce veramente poca.
Sì, ci sono buone pratiche, sono sempre esistite. Ma vorrei proporvi di smetterla di parlare solo tra voi e vi invito a fermarvi a intervistare gli studenti. Chiedete a loro che cosa stiamo costruendo. Chiedete come si sentono dentro le nostre scuole e che cosa pensano delle lunghe mattinate che li tengono sui banchi per ore, per poi doversi misurare con gli apprendimenti ancora da soli, la sera.
Chiedo scusa. Siamo sicuri che le nostre analisi sulle buone pratiche, benché correttissime, non siano un superamento di qualcosa che ancora non esiste? E, se fosse così, non si corre solo il rischio di rinforzare il desiderio di immobilità da parte di chi è terrorizzato dal cambiamento?
Mi sembra di sentirli i tanti colleghi che non hanno mai acceso la “lavagna magica”, come la chiamano i miei bambini, e che sono ancora fermi in cattedra, davanti al libro e con la convinzione che siano le nuove strategie, a loro ancora sconosciute, ad aver distrutto la scuola: - Vedi, alla fine, che cosa si dice della tecnologia? Hai sentito quanto sono importanti gli apprendimenti mnemonici? Avevo ragione che bisogna abituarli a gestire la fatica!
Chiedo scusa se mi sono permessa. Ma lo devo ai racconti che sto raccogliendo proprio in questi giorni da ragazzini di quattordici anni e che parlano di una scuola che si è evoluta poco o niente e che ha davvero poco a che fare con quella in cui credo io. Una scuola capace di portarli dentro, insieme al loro mondo, di offrire contesti in cui stare bene e lavorare insieme, di costruire la loro motivazione, stimolandoli con tutti i mezzi possibili, provocandone la sete di scoperta, sostenendo tutti e ognuno.
Perché, dobbiamo avere il coraggio di dircelo: oggi la nostra scuola butta fuori anche tenendo dentro e sta costruendo separazione molto più di quanto non costruisca inclusione.

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