sabato 15 settembre 2018

Cinque anni fa, fra cinque anni

Cinque anni fa, quando ho iniziato con la classe che ho appena lasciato, ero un'altra donna. Prima di tutto avevo cinque anni in meno, e questo, se era un vantaggio per le energie fisiche, non lo era per la maturità professionale che, nel bene e nel male, oggi mi sento addosso; effetto di anni in cui ho deciso di impegnarmi a tradurre in pratica le mie convinzioni, con chiara intenzionalità e sistematicità; che non significa rigidità, questo sia chiaro. Niente a scuola può esserlo. Funziona solo ciò che è morbido. La scuola ha bisogno di sguardi attenti e della capacità di modificare e di modificarsi, di coevolvere con il contesto. 

E poi cinque anni fa ero ancora figlia. Già, mia madre era una presenza importante fino all’inizio della terza elementare, quando una brutta malattia se l’è portata via velocemente. Ed era con lei che avevo passato serate intere del settembre 2013 a preparare le cartelle per i nuovi bambini, quelle che gli avrei donato perché potessero raccogliere le loro cose, la loro storia. Lei che ascoltava le mie idee e mi aiutava a non guardarle con i soli occhi dell’entusiasmo. Lei che leggeva le mie riflessioni e che riusciva a sentire il ritmo delle mie filastrocche sempre imperfette. 

E cinque anni fa non mi erano ancora successe le tante altre cose che sono arrivate a trasformare la mia vita, a chiedermi di essere ancora più forte e di avere uno sguardo ancora più aperto e meno severo con me stessa e con gli altri.

Già, cinque anni fa ero un'altra donna. Ed è a questo che pensavo questi giorni mentre lavoravo dentro l'aula, mentre finivo di spostare il passato (che fatica!) per lasciare spazio al presente. 

Tutto questo per dire che mi presento al nuovo anno scolastico con tanti punti fermi, che sono proprio le convinzioni forti che ho condiviso sin dal primo incontro con i genitori - doveva essere chiaro che non avrebbero trovato la stessa scuola che hanno frequentato loro - ma che non posso sapere davvero che maestra sarò.

Ciò che posso dire è che poter contare sui tanti anni di esperienza, e poterli portare con me, mi fa stare bene; così come mi fa star bene poter ricorrere ai cinque anni ripetuti per due con i quali ho capito l’importanza di insegnare con lo sguardo lungo. E ancora ai tanti percorsi formativi, letture e esperienze che mi hanno perturbato di continuo e di continuo messa in movimento alla ricerca di un nuovo equilibrio professionale. 

Ma, in ogni caso - mi sembra giusto dichiararlo - a parte quelle certezze che ho già avuto modo di esprimere con grande franchezza anche ben prima che aprissero le iscrizioni (vedi), altre da offrirne non ne ho. E, oggi, devo dire che questa consapevolezza è la cosa più bella che porterò con me. 

Non ne ho perché so bene che una storia non è mai uguale a un'altra e perché so che il viaggio più bello è quello che parte dai bambini, quello che prende forma con loro; quello che vede noi insegnanti artisti nel valorizzare i vissuti, le curiosità, le loro attitudini e portarle in classe e in tutti gli spazi che abiteremo. Perché, i nostri percorsi, certo con chiarezza di senso, trovino i bambini tutti interi e motivati, desiderosi di scoperta e pieni di domande capaci di metterli in movimento alla ricerca di risposte.

Non ne ho perché so che non cercherò rifugio nelle guide didattiche, nel libro di testo, nel riempire i quaderni, ma farò in modo che tutto muova da loro, dalle nostre esperienze fuori e dentro la scuola, da ciò che accade nel mondo.

Per questo, il mio più importante impegno sarà proprio quello di muovermi con la consapevolezza dei saperi in gioco e delle competenze che ho il compito sviluppare, per riuscire a vederli in anticipo e far loro spazio con l’intenzionalità di chi sa che cosa deve garantire in questi cinque anni, con uno sguardo sull’intero ciclo, su tutto il percorso formativo, su ciò che è utile alla vita. 

Perciò mi preparo a un “viaggio viaggio”, così abbiamo ribattezzato il nostro viaggio di istruzione con i vecchi alunni (strano chiamarli vecchi…), riferendoci alle opportunità che ha potuto offrirci grazie al nostro aver deciso di stabilire solo le cose essenziali. Già perché il “viaggio viaggio” è proprio questo. Un viaggio che pur con un itinerario chiaro, sa che per essere emozionante, per accendere la passione, deve essere aperto, accogliente e… sì, perché non dirlo?, anche un po' imprudente. 

E sarà un viaggio in cui neanche per un attimo perderò di vista l’importanza del buon presente, del fatto che niente ha senso se ci dimentichiamo che, prima di tutto, dobbiamo costruire amore per la vita. 

Per questo, a ogni bambino, anche senza dirlo a voce alta, faccio prima di tutto una promessa: vi regalerò anni belli, anni che possano rimanervi dentro ed essere la forza a cui ricorrere un domani. Perché solo un bambino felice ha la possibilità di essere un adulto felice. 

E cercherò di fare della nostra scuola il luogo in cui poter vedere ancora i bambini arrivare di corsa, lanciare lo zaino da una parte per darci un bacio e correre a salutare i compagni; in cui poterli vedere ancora fingere di stare bene, anche se malati, perché non vogliono perdere un giorno di scuola; in cui vederli arrivare con l’entusiasmo di chi sa che concorrerà al programma della giornata, portando dentro nuove cose e ragionando sullo sviluppo dei progetti in corso; di chi sa che sentirà appartenenza, nello spazio, con il gruppo, nelle cose che ha da fare. 

Per questo, continuerò a scegliere e a lasciare fuori tutto quello che non serve, tutto ciò che crea eccessivo carico e che toglie spazio a ciò che conta. Ma anche tutto quello che crea divisioni, primi fra tutti i voti.
Metteremo al primo posto il costruire, con ognuno, perché a questo serve la scuola. 

E faremo scuola in aula, in ogni locale a disposizione, in città; avvicinandoci alla lettura, al cinema, alla musica, al teatro, alle cose del mondo.

Sono troppo chiacchierona, lo so.
Ma, dato che accoglierò bambini di prima, devo aggiungere ancora una cosa per le famiglie.
Non aspettatevi, come siete abituati a sentire, che questo sarà l'anno in cui imparare a leggere e a scrivere. Certo, impareranno. Ma al centro non può esserci la strumentalità. Lettere e numeri sono importanti solo se sono in grado di unirsi in una danza, di costruire passione.
Perciò questo sarà l’anno per innamorarsi della scuola, per riconoscerla come luogo importante, stimolante, vivo.

Sarà un tempo in cui parlare tanto, imparando a organizzare il pensiero, portando dentro tante nuove parole, riflettendo sulla lingua; un anno in cui innamorarsi della lettura e avvicinarsi al mondo (per questo, tra il materiale, ho chiesto che ogni bambino avesse da subito un planisfero e una cartina dell’Europa); un anno in cui cercare i numeri dappertutto e conoscerne il loro spazio nella nostra vita di tutti i giorni; un anno in cui ripensare se stessi in relazione agli altri; in cui imparare a ricevere e offrire aiuto; in cui scoprire il valore prezioso delle contaminazioni e del vivere comune. In cui scoprire le regole come bisogno perché, sia chiaro, partiremo senza. 

E sarà un anno in cui poter sognare. Sì, perché senza sogni è impossibile essere felici, e io, come ho detto, prima di tutto ho promesso la felicità.

Torno a me. Chissà che maestra sarò, che nuove storie personali mi riserva la vita per questi cinque anni; storie che, inevitabilmente, incontreranno queste nuove vite. Chissà. 
Chissà chi sarò io e chissà chi saranno questi nuovi bambini e i loro genitori tra cinque anni.

Non possiamo saperlo. Credere di poterlo stabilire in anticipo è un grande atto di presunzione.
Perché la scuola deve essere un "viaggio viaggio", ed è questo a renderla un'avventura straordinaria.

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