Amo distribuire foglietti. Lo faccio dappertutto e senza preavviso. Con i bambini, con le famiglie, durante i miei incontri. Faccio una domanda e chiedo di esprimere il proprio pensiero. Non ho una risposta attesa. Mi piace conoscere il pensiero degli altri. Tutto qui.
Questa mattina, mentre mettevo ordine in un barattolo pieno di cavi di telefoni che non esistono più, ne ho trovato un piccolo mazzo. Rossi e verdi.
Questa mattina, mentre mettevo ordine in un barattolo pieno di cavi di telefoni che non esistono più, ne ho trovato un piccolo mazzo. Rossi e verdi.
Insieme a quelli dei genitori che avevo distribuito durante una riunione in vista delle nuove iscrizioni, ritrovo quelli, indimenticabili, che avevano raccolto i pensieri dei miei bambini di quinta elementare, quando, all'improvviso, avevo chiesto loro: "A cosa serve la scuola?".
Mi ricordo bene il perché non riuscii a buttarli, neanche dopo che ne avevo raccolto il contenuto tra i miei file. Ero sorpresa. Quasi nessuno si era accontentato del foglietto che avevo posato sui banchi dopo aver fatto questa domanda. Scrivevano davanti e dietro, e me ne chiedevano un altro e un altro ancora.
Quando lessi non potevo credere ai miei occhi. E sapevo che se ero incredula io, come potevano non esserlo gli altri?
Così li conservai. Li conservai perché fosse chiaro chi sono questi bambini che crescono con noi. Ma forse anche un po' per ricordarmi come siamo capaci di trasformarli.
Fra tutti, presi un pensiero, non perché fosse il più bello, ma perché, in qualche modo, metteva insieme anche quelli di tutti gli altri, e lo riportai in una slide che mi ha accompagnato all'apertura di tanti incontri con insegnanti e genitori. La prima volta lo lessi su invito di un'ispettrice e cara amica, durante un seminario sulle Indicazioni Nazionali.
Oggi, per me, ritrovare quelle parole, così, scritte di pugno, su quei foglietti stropicciati, è stato un regalo.
Meno male che qualche volta riesco a sfuggire al mio bisogno compulsivo di mettere ordine.
Mi ricordo bene il perché non riuscii a buttarli, neanche dopo che ne avevo raccolto il contenuto tra i miei file. Ero sorpresa. Quasi nessuno si era accontentato del foglietto che avevo posato sui banchi dopo aver fatto questa domanda. Scrivevano davanti e dietro, e me ne chiedevano un altro e un altro ancora.
Quando lessi non potevo credere ai miei occhi. E sapevo che se ero incredula io, come potevano non esserlo gli altri?
Così li conservai. Li conservai perché fosse chiaro chi sono questi bambini che crescono con noi. Ma forse anche un po' per ricordarmi come siamo capaci di trasformarli.
Fra tutti, presi un pensiero, non perché fosse il più bello, ma perché, in qualche modo, metteva insieme anche quelli di tutti gli altri, e lo riportai in una slide che mi ha accompagnato all'apertura di tanti incontri con insegnanti e genitori. La prima volta lo lessi su invito di un'ispettrice e cara amica, durante un seminario sulle Indicazioni Nazionali.
Oggi, per me, ritrovare quelle parole, così, scritte di pugno, su quei foglietti stropicciati, è stato un regalo.
Meno male che qualche volta riesco a sfuggire al mio bisogno compulsivo di mettere ordine.
Questi i tre foglietti fronte/retro dove ha posato il suo pensiero Anna.
Aveva 10 anni.
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