domenica 4 maggio 2014

"Si può insegnare solo quello che si è"

Ieri sera, sabato 3 maggio, ho partecipato a una tavola rotonda organizzata dall’Ufficio Scuola della Diocesi di Iglesias con rappresentanti dell’Amministrazione Locale, della Regione Sarda e della scuola.

Tutti gli interventi mi hanno fatto ritornare all’importanza dello sguardo, lo stesso di cui ho già avuto modo di parlare anche in questo spazio, in una riflessione allora stretta stretta sull’insegnante.

La nostra società, la nostra scuola, sono effetto di uno sguardo corto che ci mette tutti in discussione.

Sguardo corto come scuola, concentrata a valutare e selezionare prima ancora di aver costruito, dimenticando che questo è un viaggio dove si devono portare tutti quanti e che nessuno può essere lasciato a terra.

Sguardo corto come insegnanti, ancora alla ricerca della messa a fuoco del nostro compito: quello di formare cittadini capaci di abitare l’Europa con tutti gli attrezzi necessari e una buona dose di flessibilità.

Sguardo corto come genitori che, nella fretta del quotidiano, spesso non guardiamo alla forza che dobbiamo dare ai nostri figli e alla serenità di cui hanno bisogno per vivere un mondo ad alta complessità. Prendiamo noi lo zaino, allacciamo noi le scarpe…

Sguardo corto come dirigenti scolastici che, per gestire le emergenze quotidiane e inseguire gli adempimenti burocratici, hanno rinunciato a un’idea di scuola che va oltre il proprio tempo di permanenza in una sede, quell’idea che rende necessario guidare il cambiamento, progettando pezzo per pezzo, con intenzionalità e sistematicità, verso una direzione in cui studenti, insegnanti e famiglie possano riconoscersi e ritrovarsi.

Sguardo corto da parte delle Amministrazioni che hanno sempre tamponato, rinunciato a un progetto che ripensasse le città, valorizzando la storia delle proprie scuole perché nel tempo riprendessero forma offrendo agli studenti strutture efficienti e sicure.

Sguardo corto da parte della politica che ha perso di vista che la scuola, come dice Frabboni, deve occupare quella striscia d’azzurro sopra le nuvole, dove regnano e brillano i valori universali, e l’ha smontata e rimontata talmente tante volte che l’immagine è di una struttura talmente sgretolata che non è più capace di stare in piedi.


Sì, sguardo corto e settoriale. Perché ognuno ha pensato di lavorare solo su una parte, rinunciando a ciò cui ieri ha richiamato continuamente Claudia Firino, l’Assessore Regionale alla Pubblica Istruzione: il fare insieme, unire idee e risorse partendo dalla scuola vera.

E proprio mentre riflettevo sul fatto che per troppo tempo tutti quanti ci siamo trovati sullo stesso piano solo nell’incapacità di vedere il cittadino di domani, arriva l’intervento di chiusura: poche ed efficaci parole capaci di restituire una foto ancora più definita.

Carla Corona, insegnante per quarant’anni e oggi consulente familiare. La voce di chi ha abitato la scuola tutta intera.
Ha avuto il coraggio di zoomare Carla, e di portarci dentro le famiglie e dentro le aule, di parlare di relazione e di clima educativo per ricordarci che sono le uniche cose che contano davvero.
Carla ha detto che c’è un momento in cui un genitore guarda il figlio e quasi non lo riconosce, come se non fosse effetto di quello che gli ha insegnato.

Così fanno l’insegnante e la scuola con gli studenti. E io aggiungo che lo stesso fa la politica con la società. Si sveglia e guarda al mostro come se non fosse il suo parto naturale.

Il bambino, il ragazzo, il cittadino non ascoltano le parole. Quelli che passano sono i modelli. Ciò che arriva è quello che siamo.

Allora è chiaro. Non resta che specchiarci e ricominciare da capo. Noi insegnanti con le nostre classi. I genitori con i propri figli. Ognuno di noi in tutti luoghi che abitiamo.

Non sono le parole, le intenzioni, le dichiarazioni a lasciare l’impronta. Sono i modelli.
Si insegna o si può insegnare solo quello che si è”.  Carla ha chiuso così il suo breve intervento.

Per chi sa guardare lontano, con questa frase è stato dato lo strumento.

Da schematica, quale sono, ho lasciato l’incontro pensando a tre cose: dobbiamo ricominciare da noi, dobbiamo guardare lontano, dobbiamo farlo insieme.
Ci vuole molta consapevolezza e molto coraggio.

Grazie a chi ha offerto questa serata. Grazie Carla.

2 commenti:

  1. Bellissima riflessione.
    Sul “modello" di insegnante ho già detto tanto, e riporto solo quanto scritto in un commento più recente: il mestiere di insegnante se non viene dal cuore è un mestiere che non fa bene né a se stessi né agli altri.
    Ecco, credo che in questa affermazione, possa racchiudersi la differenza di “insegnare o insegnare quello che si è”. Per farlo bisogna, appunto, mettersi coraggiosamente in gioco. E, se mi posso permettere, personalmente sento e credo che tu, Maestra Enrica, abbia tutti quei requisiti e doni, professionali ed umani, per essere un modello capace di educare non per provare o dimostrare, ma per lasciar diventare, capace di guidare ed amare i bambini senza pretese per il presente, ma con tanta speranza per il loro futuro, aiutandoli ad andare incontro al domani con slancio!
    E poi arriviamo noi genitori …e qui esprimo semplicemente “di getto”, senza stare attenta a forma e modo, cosa ha suscitato in me questa riflessione.
    I nostri figli ci aiutano, in ogni istante, a conoscere il mondo mentre lo ricreano. In questo ricreare dobbiamo essere capaci di ricominciare, partendo da quegli errori educativi che, per le nostre umane debolezze, mancanze e stanchezze, commettiamo nei confronti dei nostri figli. Riconosciamo, senza timore, nei nostri sbagli e nel nostro essere fallibili, lo strumento per diventare dei genitori, non migliori, non perfetti, ma semplicemente veri, pazienti, onesti, giusti ed equilibrati.
    E ancora… riuscire a guardare lontano, ma per farlo dobbiamo vivere bene il nostro oggi, il nostro presente, perché quello che facciamo rimane, anche se la strada non è mai segnata, perché è il cammino che la traccia.
    Allora facciamo che il nostro cammino genitoriale sia sempre ricco, carico di passione, di entusiasmo, di stupore, di energia, stando attenti a non fare il grande sbaglio, perché spesso troppo impegnati e coinvolti in preoccupazioni ed emozioni, di dare per scontato il nostro ruolo. Un ruolo, impegnativo, faticoso e delicato, ma da riscoprire pazientemente ogni giorno insieme ai nostri figli, che sono lo specchio della nostra anima, del nostro modo di essere e per questo non possiamo non riconoscerli, perché in loro ci siamo noi, anche con i nostri insegnamenti.
    Poi è vero che dalla teoria - intesa come intenzioni e dichiarazioni - alla pratica… ne passa!
    Eppure da qualche parte bisogna incominciare. I figli crescono al di la di noi stessi e per questo, nel nostro educare, cerchiamo di non essere soffocanti, perché più di mille raccomandazioni, è il nostro agire che li aiuta. I bambini imparano solo quello che vivono e l’esempio non è uno dei tanti metodi per educare. E’ l’unico. Facciamolo con amore, ma un amore generoso.

    RispondiElimina
  2. Con questo scritto mi hai dato occasione ulteriore per riflettere. Mi ricordi quei cantautori che usavano le loro parole in musica per denunciare, il malessere il degrado e l'ingiustizia... quel ripetersi (anafora) dello "sguardo corto" all'inizio di ogni frase esprime con enfasi il dolore che si prova nel vedere qualcosa che lentamente sfugge all'attenzione, all'azione consapevole dell'insegnare, ed ecco la speranza: il "ricominciare da capo" deve avvenire il prima possibile prima che si guardi ciò che si è generato con disprezzo... come se non fossimo responsabili o coinvolti in prima persona. Non smettiamo di crederci, altrimenti non ci sarà più sguardo.

    RispondiElimina

Grazie per aver lasciato un tuo commento! La pubblicazione avverrà entro le 24 ore.
I contenuti offensivi o inadeguati saranno immediatamente rimossi.