Oggi. Scuola media. La domanda la faccio io.
- Come sta andando Francesca?
- Tutto tre!
Punto.
Un anno fa. Scuola primaria. La domanda la ricevo.
- Come sta andando Francesca?
- Sta facendo progressi enormi. Se me l’avessero detto… forse non ci avrei creduto nemmeno io. Ha un amore per la scuola straordinario, partecipa a tutte le attività, è completamente integrata nella classe. Certo, ancora l’attenzione non è sempre costante e certe difficoltà sono ancora forti, ma se penso al passato… Quando leggo a voce alta per la classe, rimane incantata, non le sfugge una parola.
Se poi penso alla produzione… non scriveva niente e ora compone i suoi piccoli testi. Sì, ci sono tanti errori ortografici, anche fusioni illegali, inversioni, però il contenuto c’è. Scrive cose coerenti e ricche.
Non studia, ma ama tantissimo i documentari e sta imparando molto sulla storia; a interessarla è soprattutto il ruolo della donna nelle diverse culture.
In matematica i progressi sono più lenti, però sul numero è fenomenale, sia con quelli interi sia con i decimali, non sbaglia mai il valore posizionale delle cifre. Anche il calcolo è migliorato molto. Certo, con i decimali le ho proposto solo addizioni e sottrazioni, ma va bene così.
La cosa più bella, comunque, è che è diventata il dizionario di classe. Incredibile. Ci rivolgiamo tutti a lei.
- Cosa significa?
- Significa che ha una capacità di inferenza linguistica straordinaria perciò, ogni volta che introduciamo un termine nuovo, è la prima a intuirne il significato dal contesto.
Insomma… abbiamo trovato il suo talento.
Non voglio dire molto altro. Non è mia intenzione criticare un insegnante che risponde così e che certamente si riconoscerà nelle mie parole. A farmi riflettere non è il singolo, è il sistema al quale appartiene.
So solo che non avrei mai risposto “Tutto tre!” alla domanda “Come sta andando Francesca?”. Avrei guardato ai suoi progressi, avrei raccontato cosa stavo facendo per lei.
La scuola media è parte della scuola dell’obbligo. Il suo compito non è concentrarsi sulla valutazione ma sui percorsi.
Il suo compito è accompagnare verso. Accompagnare, stare a fianco, mostrarti la strada.
Cercare di far venir fuori tutto quanto è dentro di te. Incaponirsi a cercare tutti i mezzi.
La selezione dovrebbe essere rimandata.
Ho sentito il peso di una domanda non espressa: - Perché l’avete promossa?
Mi dispiace non aver potuto dare la risposta: - Perché ha dato il suo massimo.
Penso a professionisti impegnati a tener conto di ogni storia individuale, a studiare per trovare le strade adatte a ognuno e gli strumenti migliori.
Non mi basta una scuola che ha voglia di contemplare il risultato.
Ancora meno nella scuola dell’obbligo.
Quando penso ai bambini che accompagno, non penso mai in termini di voti. Quello che voglio è che ognuno raddoppi i suoi talenti. Il valore del risultato è sempre relativo, mai assoluto.
E al primo posto, non mi vergogno a dirlo, metto sempre il clima educativo, la relazione, la fiducia. Il benessere, la qualità del tempo a scuola. Gli unici che secondo me possono costruire i presupposti perché ognuno trovi il proprio spazio nella vita.
Poche parole dedicate a te Francesca, proprio mentre osservo impotente la scuola che ti butta fuori.
Ci sarebbe tanto da dire…
RispondiElimina“FA QUEL CHE PUO’ QUEL CHE NON PUO’ NON FA” incomincio così il mio commento.
Una frase di Alberto Manzi che racconta: “Io avevo una classe di 26 alunni, di cui 15 con problemi e 4 con grandi problemi. Quando nacque la storia delle schede di valutazione io dovevo dire che cosa erano questi ragazzi. Io dissi al Direttore – io non te lo scrivo – non te lo scrivo perché io faccio una cosa che è relativa a questo momento, ma questo documento rimane e chi lo legge, fra un anno, dirà che questo ragazzo è un mentecatto, uno schizzofrenico o altro…che gli facciamo? Ma perché lo devo bollare? Fui punito, quattro mesi senza stipendio. La cosa buffa è che l’anno successivo io le schede le dovevo fare, ma io non le ho fatte e feci un timbro con scritto FA QUEL CHE PUO’ QUEL CHE NON PUO’ NON FA. Un giudizio estremamente preciso e scientificamente esatto. Io vorrei vedere la gente che possa fare una valutazione quando ha dei bambini che hanno dei problemi dentro la classe. Questa è la realtà e oggi i bambini i problemi ce ne hanno più di quelli che ce ne avevano una volta. O eravamo stupidi noi e non li capivamo o è la scuola che crea i problemi ai bambini”.
E ora mi rivolgo a “Francesca”. Ti racconto un episodio che forse è diverso da quello che capita a te, ma che spiega quanto gli insegnanti possano, diciamo, sbagliare….
I problemi di un alunno sono diversi, legati anche ad una situazione, ad un contesto, ad un momento che spesso non viene compreso o sottovalutato dall’insegnante.
Ai miei tempi il “tutto tre” non esisteva…ma esisteva il “tutto quattro” o addirittura il “non classificabile” il cosidetto “N.C.”. Ecco io ero un tutto quattro, anzi un N.C. Questo mi è accaduto in seconda media, quando, a seguito di una faticosa esperienza, ad un certo punto, ho iniziato a vivere con grande difficoltà la scuola e a fine anno, in occasione della consegna della pagella, a mia madre venne detto ( in mia presenza!!!): “Sua figlia da grande non sarà nessuno. Provi a pensare cosa sia meglio per lei!”
Quella frase mi ha accompagnato per i successivi anni. I problemi - che potevano essere risolti semplicemente con l’aiuto di insegnanti significativi, capaci di costruire l’autostima dei loro alunni, di conquistare la loro fiducia e motivarli ad apprendere, con entusiasmo ed interesse - invece, sono rimasti. E anch’io sono rimasta ferma li in quella frase per tanto tempo, perché pensavo che se gli insegnanti mi vedevano come un “tutto quattro” o “N.C.”, io potevo dare solo quel tanto. Ho proseguito la scuola a fatica, ma sai come è finita? Sono riuscita a terminare gli studi perché fortunatamente esistono anche insegnanti disponibili e sensibili, che sanno guidare senza sopraffare, senza forzare, che sanno così capire ed andare oltre, oltre qualsiasi tipo di problema, non fermandosi ad una valutazione, a dei numeri aridi senza senso.
Poi nel lavoro ho avuto sempre grandi ruoli di responsabilità e grandi soddisfazioni, poi per scelta ho lasciato il lavoro e sono diventata mamma di tre splendidi bambini!
Ecco, se questo è diventare nessuno…..allora vorrei dire sia all’insegnante che rivolse quella frase a mia madre sia all’insegnante che ti riconosce, Francesca, in un “tutto tre” (e che un domani potrebbe essere anche l’insegnante dei miei figli!), che ognuno di noi FA QUEL CHE PUO’ QUEL CHE NON PUO’ NON FA, se, come dice Maestra Enrica…da, comunque, il suo massimo!
I tuoi scritti, Enrica, stanno assumendo l'aspetto pasoliniano di denuncia e salvaguardia dei diritti del bene più prezioso che la scuola possa mai avere e per il quale essa stessa sussiste: i bambini. Quindi a mio avviso possono essere definiti "corsari" in quanto stimolo di riflessione sul divario incolmabile tra il docente e il discente.Il corsaro era una persona al servizio di un governo, cui cedeva parte degli utili, ottenendo in cambio lo status di combattente (lettera di corsa) e la bandiera. Quindi la tua aula, pur essendo pubblica diventa per necessità e dovere una nave privata, armata e dotata di capitano ed equipaggio. A questo punto Walter Whitman è più che doveroso citarlo "O capitano! Mio capitano! " fai in modo che la nostra nave resista ad ogni tempesta, procedi senza temere e sollecita il nostro "sguardo lungo" verso i nuovi orizzonti. Finisco con una citazione a me molto cara di un poeta italiano scomparso tragicamente e un grande corsaro: «Io mi guardo indietro, e piango i paesi poveri, le nuvole e il frumento; la casa scura, il fumo, le biciclette, gli aeroplani | che passano come tuoni: e i bambini li guardano; il modo di ridere che viene dal cuore; gli occhi che guardandosi intorno ardono di curiosità senza vergogna, di rispetto senza paura. Piango un mondo morto. Ma non son morto io che lo piango. Se vogliamo andare avanti, bisogna che piangiamo il tempo che non può più tornare, che diciamo di no | a questa realtà che ci ha chiusi nella sua prigione» .
RispondiEliminaPer Francesca
RispondiEliminaSono nata in un giorno lontano, che si perde nella notte dei tempi…..
Ma sono nata. Ho visto la luce.
La mia infanzia ha avuto anche delle ombre ma ogni sera, prima di prendere sonno, la mamma mi raccontava che la notte in cui venni al mondo il cielo era tempestato di stelle cadenti e che una stella sembrò cadere così vicino da sfiorare la mia piccola casa.
Quella stella era per me ……. e avrebbe brillato per tutta la vita dentro al mio cuore.
Ma come le stelle svaniscono di fronte alla luce mattutina del sole che sorge, io non riesco a mostrare la mia ricchezza interiore ad un mondo che riflette consuetudine, uniformismi e stereotipi.
Un mondo che ci vuole tutti uguali, limpidi, perfetti nell’esteriorità, rispondenti allo standard riconosciuto, quello ben visibile agli occhi….
Ma la vista non è l’unico senso che la vita ci ha regalato….
Le mie giornate trascorrono tra mille difficoltà e una domanda ricorrente: perché non riesco ad essere come gli altri …
Eppur mi sforzo…. E tanto…. E tanto di più...
Ma la notte mi rifonde coraggio, torno me stessa, e anche se la mamma non mi è più vicina, io mi trattengo nei ricordi e quella stella brilla sempre dentro di me, la sento, ed è il mio sostegno, la mia forza, mi dà il coraggio e la voglia di continuare a cercare le altre stelle nascoste nel cuore di altri bambini, quelle che molti non riescono a scorgere ma che io riconosco nei loro occhi brillanti che esprimono altro rispetto alle parole che pronunciano.
E così attendo - silenziosa e paziente come la notte che mi ha visto nascere - un mondo che si accorga che ad un cielo rischiarato dal sole segue una notte costellata di infinite stelle e che l’uno e l’altra non si escludono affatto, sono solo due immagini diverse che esprimono lo stesso cielo.
Simona saponetta
Splendida riflessione! Grazie!
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