domenica 3 maggio 2015

Noi educatori e lo sciopero della scuola

In questa prima domenica di maggio, mi voglio fermare un attimo su pace e rispetto. Ce ne riempiamo la bocca, ne sappiamo parlare bene quando ne osserviamo l'assenza fuori di noi, poi non sappiamo nemmeno riconoscere quando, alla prima occasione, ce ne allontaniamo. Gravissimo da tutti, di più da noi educatori.
Lo dico dopo che in questi giorni sto vedendo sollevarsi barricate sullo sciopero della scuola. Da argomentazioni interessanti da leggere, e certamente utili per capire meglio, come lo è spostarsi sul punto di vista di tutti, siamo arrivati a slogan sempre più pesanti e, l'ho letto questa mattina, a mail anonime inviate a chi ha dichiarato il proprio pensiero contrario allo sciopero. Vergognoso.
E a scrivere siamo noi, gli stessi che puntano il dito contro i black bloc. Non siamo tanto diversi. Mascherati dietro uno schermo, abbiamo dimenticato quanto sia importante la libertà di pensiero e tutelare il diritto di tutti ad esprimersi quando questo è diverso dal nostro.
Che cosa stiamo facendo? Noi, la nostra società, la nostra scuola, abbiamo bisogno prima di tutto di un'idea di comunità, di avere chiaro chi vogliamo essere. È davvero questo quello che vogliamo? Guardiamoci intorno. Stiamo costruendo la cultura dell'odio, la cultura di chi non vede l'altro, di chi non sa cosa significhi muoversi con delicatezza. 
Tornando allo sciopero, do la risposta alla domanda che vi state facendo.
Io ho deciso di scioperare, e non ho problemi a dirlo ad alta voce. Ma ho passato tanto tempo a leggere e documentarmi, fermandomi, soprattutto, e con rispetto, sul pensiero diverso dal mio. Per questo, a voce più alta, voglio dire che mi vergogno di quello che stiamo esprimendo. Mi vergogno di accorgermi che abbiamo dimenticato che non si smette un attimo di essere educatori, che sono questi i momenti in cui dobbiamo ricordarci che insegniamo quello che siamo.

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