sabato 24 dicembre 2016

L'augurio di saper amare ognuno per quello che è

Questa mattina, proprio mentre mi accingevo a scrivervi i miei auguri, nel gruppo di docenti che ho fondato su Edmodo, ho trovato un messaggio bellissimo scritto dalla collega Giovanna Ferraro. Così, con il suo permesso, ho deciso di mettere da parte le mie parole e di portare qui le sue alle quali aggiungo solo il mio abbraccio carico di bene e un semplice augurio: "Che il Natale possa essere per  tutti voi occasione per riconciliarvi con i tempi della vita e con ciò che più conta...".

Natale 2016 (di Giovanna Ferraro)

Caro collega e caro genitore,
mi ricordo com’ero io a sei anni quando con grembiule fiocco e cartella, lasciata la “sicurezza” di una casa (che poi tanto sicura non era) con la paura di affrontare l’ignoto e la voglia enorme di crescere, sono entrata nel mondo dei grandi.
E mi ricordo come il mio spirito pian piano, col passare degli anni, moriva, ingoiato tra i tanti. La mia voglia di ridere e di combattere, la mia curiosità di bambina venivano soffocate dai "non va bene, non si fa, non si dice, non si chiede".
- Ha l’argento vivo addosso - dicevano a mia madre che, dal canto suo, tendeva a farmi reprimere in vari modi e con metodo, non quello Montessori, quanto vedeva di sbagliato nel mio essere ciò che ero, a casa e a scuola.
Il mio stile di apprendimento cinestesico allora si chiamava maleducazione e il mio carattere estroverso e la mia voglia di sapere il perché di ogni cosa si sono rivelati il mio “problema”. E il problema era tale che non crescevo neanche fisicamente perché tanto secondo me era inutile: non sarei mai diventata ciò che gli adulti attorno a me avrebbero voluto che fossi . Ho sempre letto, scritto, contato e misurato tutto, ma le mie letture, ciò che scrivevo, perfino i miei calcoli non c’entravano niente con lettere e matematica e i miei conti non tornavano mai, neanche in casa.
Nel tempo me la sono sempre cavata a scuola e in famiglia ma ho finito per odiare lo studio e mia madre.
Tu solo sai, caro collega, com’eri tu a sei anni e come hai vissuto la scuola e come hai vissuto in famiglia. Magari ti sei sentito inadeguato e ti hanno deluso. Oppure no. Magari eri bravissimo in tutto e per tutti.
In entrambi i casi ti chiedo di pensare a quei bambini che devono faticare per sentirsi accettati per quello che sono, alle istanze più o meno esplicite che portano avanti, alle storie più o meno complesse che hanno alle spalle. Prova a domandarti più spesso chi siano i tuoi studenti e cosa puoi fare per loro, non tanto per farli diventare come tu credi opportuno, ma per dar loro modo di essere ciò che sono.
E tu, caro genitore, com’eri tu a sei anni? E a tredici? E tuo figlio? Lo conosci? Lo ami com’è?
Non è questo forse il significato dell’educazione: portare alla luce ciò che dentro aspetta di uscire (e che, troppo spesso, muore?)
Urla, botte da orbi e male parole sono ciò che resta di certi mondi interiori che continuano a gridare aiuto a nessuno che risponde.
Auguro a tutti noi, insegnanti e genitori, di trovare sotto l’albero pazienza, comprensione, rispetto per i nostri ragazzi, qualunque cosa essi siano e facciano, e ancora entusiasmo e passione per il nostro mestiere, il più bello e il più difficile del mondo.

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