Sono quasi le otto di sera. Abbiamo finito i compiti.
Scusate, lo riscrivo meglio.
Sono quasi le otto di sera e, finalmente, siamo riusciti a finire i compiti.
Si: finalmente e siamo. Perché io sono uno di quei tanti (o pochi!) genitori che devono fermarsi e sedersi accanto ai propri figli (per fortuna non tutti), perché per diverse ragioni, insieme a necessità particolari, alcuni di loro non hanno ancora raggiunto quella sicurezza, quella competenza, quella motivazione e soprattutto quella serenità per svolgere i compiti in autonomia, o quasi.
Il mio ruolo, così, non può limitarsi a controllare, chiarire qualche dubbio o fornire qualche spiegazione, essere quindi quel semplice, presente e attento supervisore, capace di dare il tempo e creare lo spazio di cui i miei figli hanno bisogno.
Il mio ruolo mi riporta, invece, tra i banchi di scuola insieme a loro.
Solo che oggi, credetemi, mi sento un pochino scomoda…
Prima di esprimere qualsiasi opinione, esco subito da certe semplificazioni che non condurrebbero alle giuste e corrette riflessioni, perché in ogni libero pensiero ci sono sempre racchiuse una o più verità che aiutano a comprendere meglio. Infatti, conosco bene e rispetto le diverse posizioni espresse da altri genitori sull'assegnazione dei compiti a casa e per le vacanze: c’è chi vorrebbe evitarli, chi li difende, chi dice che sono troppo pochi (la maggioranza), chi dice che sono molti e a volte inutili (l'incomprensibile minoranza), c’è infine chi ne vorrebbe un pochino proponendo inoltre alternative per renderli più creativi e quindi interessanti e divertenti (la minoranza della minoranza).
Ora, vi faccio tornare per un momento a quelle otto di sera presentandovi, inoltre, la mia personale, e ripeto personale, esperienza su due realtà: da una parte quella di mio figlio, dove i compiti sono motivatamente pochi e…giusti (in quanto aumentano gradualmente e progressivamente nel rispetto delle competenze da acquisire), e dall'altra quella delle mie figlie, dove i compiti sono immotivatamente tanti, a volte troppi…
Mio figlio e i compiti motivatamente pochi…e giusti. Sono quei compiti che si riconoscono per la loro qualità e non per la quantità. Sono pochi perché la quantità è davvero presente in classe, una quantità che spesso a noi genitori è invisibile, ma che a casa diventa visibile nel trasformarsi in qualità. Nell'osservare mio figlio svolgere i compiti autonomamente (ad eccezione di quelle particolari necessità di cui ho accennato all'inizio), grazie alle spiegazioni, strategie, strumenti e stimoli proposti e offerti dalla maestra. Nel vedere mio figlio sereno davanti alla consegna, senza alcuna pretesa o aspettativa verso se stesso: perché sono compiti che rispettano le reali necessità, che ripercorrono. Nell'apprezzare un metodo di studio, grazie al quale mio figlio può e sa organizzarsi i tempi e i modi a lui più favorevoli. Nel riconoscere tutte quelle competenze che a casa vengono semplicemente riviste e rifinite, risultato di un lavoro totalmente svolto e appreso in classe.
Sono compiti che non chiedono la perfezione, che non vogliono rappresentare un risultato, che non hanno il bisogno di dimostrare nulla, se non che quanto acquisito in classe è stato interiorizzato e veramente capito. Un supporto all'apprendimento, un consolidamento.
Qui mi fermo, anche se potrei continuare.
Passo ora ai compiti immotivatamente tanti e troppi: sono compiti inversamente proporzionali a quelli motivatamente pochi e giusti. Più compiti, non vuol dire più risultato.
Capita spesso che mia figlia prima ancora di iniziare a svolgere alcuni compiti si arrenda: nervosamente si siede, apre il quaderno, solleva lo sguardo consegnandomi tutta la sua confusione, paura e ansia, perché non sa proprio da che parte cominciare. In quel momento, in un attimo, riconosce tutte le sue difficoltà e impossibilità. Il mio ruolo, quello di azzerare, incoraggiare per poter rientrare nella convinzione di potercela fare, perché nulla è impossibile. Soprattutto portare a termine un compito, come si può.
Alle volte ho potuto anche constatare che i suoi compiti hanno la pretesa di sostituire l’apprendimento e l’assimilazione che dovrebbe avvenire in classe e per questo, inevitabilmente, delegano noi genitori a trovare la forma più adatta per riuscire a farli eseguire.
Non parliamo poi di quelle consegne incomprensibili, della confusione di metodi e strategie. A scuola si lavora in un modo, a casa in un altro…però dai! Non posso dire di non avere la grande fortuna di scegliere quello più compatibile alla bambina.
Sono compiti che non guardano alla reale necessità, che non consolidano, non rifiniscono. Senza un senso. Se in classe non si è acquisito il concetto, non vedo come si possa riprenderlo a casa. Sono compiti che dovrei lasciare “in bianco”, ma che non posso perché farei vivere a mia figlia un ulteriore fallimento oltre a quello che già vive in classe. Ma lì, non lo esprimerà mai…
Sono compiti che rincorrono un programma.
Allora sui compiti...dopo tutto, meglio una testa ben fatta che una testa ben piena, e tanto confusa.
Ci sarebbe da aggiungere ancora qualche parola sui compiti delle vacanze che vanno a toccare l’unico breve spazio di unione familiare che è rimasto in questa vita ormai frenetica e tutta di corsa, ma vista la loro importanza (?) per risolvere e recuperare tutte quelle mancanze sviluppate durante l’anno scolastico, la famiglia, insieme al bisogno di spensieratezza dei bambini, possono certo attendere...!
Preferisco però concludere offrendo un altro punto di vista, quello di un genitore che mi ha mandato una sua riflessione e che ringrazio infinitamente…
…Poiché non sono un’insegnante non darò il mio parere sull'opportunità o meno di far rielaborare a casa, all'ora del thè, i concetti appresi dai bambini all'ora del caffelatte… me ne guardo bene… voglio solo essere testimone delle due esperienze che come genitore vivo nei confronti dei compiti scolastici: due figli, due classi diverse, due mondi completamente agli antipodi. Eppure queste due creature frequentano le elementari con solo un anno di differenza…
Partiamo dal primo: 8 anni, dunque III elementare (vabbè primaria): Alessandro ha sempre avuto un bel po’ di compiti, costanti, precisi, ripetuti: frasi da comporre, sequenze da riassettare, operazioni, problemi… ora la storia e la geografia con verifiche periodiche e mappe concettuali da fare proprie… e disegni infiniti… vogliamo parlare del mutuo acceso per l’acquisto dei pastelli? Devo dire la verità all'inizio mi sembravano molti, ma il bambino ha fatto suo il concetto che i compiti ci sono e vanno fatti, per cui si organizza abbastanza autonomamente, cerca di gestire il suo tempo nell'ambito delle sue capacità di bambino e soprattutto ha sempre compiti alla sua portata. Mi spiego meglio: rarissimamente ho dovuto spiegare a mio figlio cosa avrebbe dovuto fare: si è sempre trattato, davvero, di una rielaborazione e di consolidamento di concetti già appresi con la maestra.
E poi un particolare importante: a questo buon lavoro svolto in settimana è sempre seguito l’ambito premio del sabato e della domenica completamente liberi. Mai, dico mai, un compito per il lunedì!
Passiamo al secondo: 9 anni, dunque IV elementare: Elia non ha mai avuto compiti costanti, qualche lettura ogni tanto, qualche operazione, molte poesie, dalla III la storia e la geografia con normali interrogazioni. Ha spesso alternato giorni di totale assenza di compiti a giorni in cui all'improvviso gli piovevano sul capo una marea di incombenze ingestibili in un pomeriggio. Non parliamo delle vacanze: durante le feste natalizie o pasquali ci siamo ritrovati a dover gestire più compiti di quanti ne avesse mai fatti durante l’anno. Questa mala alternanza di giorni di pacchia e di superlavoro ci ha sempre colpito e ci è sempre sembrata frutto di una cattiva gestione da parte degli insegnanti. Pareva quasi un ciclico: “Oddio come siamo rimasti indietro! Cercate a casa di recuperarvi questo e quest’altro!”
Questi compiti andavano spiegati e fatti con il bambino, che dimostrava di non aver appreso i concetti illustrati al mattino. Gli obiettivi richiesti erano sempre fuori dalla sua portata.
Risultato? Mio figlio non è autonomo, non si sa organizzare, pensa di essere “fortunato” o “sfortunato” a seconda dei compiti che ha da fare quel pomeriggio e soprattutto, cosa grave a nostro parere, non ricollega l’impegno al raggiungimento dell’obiettivo.
Sunto del brodo: Ale si fa i compiti da solo, che siano molti o pochi il fatto non incide sull'andamento degli impegni familiari perché il bambino è comunque autonomo. Le insegnanti sono così sensibili da lasciare che la domenica si possa fare visita ai nonni, una gita o una partitella di campionato senza preoccupazione alcuna. Ritornello delle ore 19,30, prima della doccetta: “Hai fatto tutti i compiti? Si? Lo zaino è in ordine?”
Ritornello con Elia, che parte dal primo dopo pranzo sino a sera inoltrata: “Elia, abbiamo compiti? Controlla… tanti? Niente? Iniziamo… dai Elia dobbiamo fare i compiti… cos’è? Come non lo sai fare? Inizia dai, ora arrivo…” I compiti di Elia sono compiti di famiglia, e oramai anche io e mio marito ci auguriamo tutti i giorni che sia un pomeriggio senza, perché è capitato che essi condizionassero interi fine settimana, che si finisca a orari improponibili con il bambino che piange dall'ansia o che si studi in macchina mentre si va dal dentista…
Il problema non è compiti si o compiti no, tanti o pochi… il problema è: figlio mio ABBIAMO i compiti… Ma questi compiti, così come vengono dati a Elia, a cosa servono? Eppure Elia è bravino…
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