Post di Simona Banci
"Andare a scuola, si sa, non è l’attività preferita dei bambini, almeno di quelli che hanno superato la fase della scuola materna…" si esprimeva così, qualche tempo fa, una nota psicologa.
Ma cosa penserebbe la stessa psicologa di una bambina che, all'età di otto anni, di fronte alla pediatra che l’ha appena visitata, con un febbrone da cavallo e con l’indicazione di tutte le medicine che la aspettano pronte per essere ingerite, scoppia in un pianto sfrenato che coglie di sorpresa la mamma e la stessa pediatra?
Di sicuro vi posso dire cosa ha pensato il medico che, attonito di fronte a tanta disperazione, ha subito cercato di consolarla spiegandole che la cura non prevedeva iniezioni e che sarebbe stato sufficiente uno sciroppo!
Ma la bambina in preda allo sconforto avrebbe risposto alla pediatra che il problema non era la cura ma i tempi di guarigione, in quanto lei il giorno dopo doveva assolutamente andare a scuola, perché nessun giorno di scuola doveva perdersi e pertanto, che cercasse Lei la medicina in grado di abbassarle la febbre, che le forze per affrontare la sua giornata di scuola non le sarebbero mancate!
Ed ora invece soffermiamoci a riflettere su ciò che ha pensato la mamma….
La mamma viene subito colta da un improbabile interrogativo: sarà questa una nuova forma di fobia scolare? Quella che prende i bambini che non possono più fare a meno della scuola?
E così, indossato il cappello da investigatore, comincia a ripercorrere a ritroso il tempo, focalizzando l’attenzione sui comportamenti della figlia al fine di scoprire tutte le possibili tracce e gli indizi, fino a quel momento trascurati, che hanno portato oggi ad un simile atteggiamento.
E con scrupoloso impegno gli indizi sono stati trovati: evidenti segnali di benessere manifestati anche sotto forma di disturbi somatici quali sorrisi, ottimismo, e buon umore, i quali nel peggiore dei casi, possono sfociare in gioia sfrenata e forme di collaborazione assolutamente inspiegabili per una bambina della sua età.
A pensarci bene, questi insoliti comportamenti la bambina li manifesta principalmente la mattina, prima di uscire di casa, e li ripropone nel pomeriggio quando si accinge a svolgere i compiti e comincia a raccontare fiera il suo vissuto scolastico.
Sarà mai possibile, si interroga la mamma, che alla base di questa fobia si nascondano le crescenti autonomia, indipendenza e autostima raggiunte dalla bambina, che quando esce di casa per affrontare la sua giornata scolastica non soffre certamente il momento del distacco dai genitori, in quanto soddisfatta dalla favola avvolgente che è l’esperienza scolastica che sta vivendo?
Qualunque cosa è meglio dell’inerzia totale – pensa la mamma - e così va alla ricerca del possibile evento, all'interno dell’ambito familiare, che possa aver scatenato una tale serenità nella bimba. Potrà mai essere capitato che uno dei due genitori, senza rendersene conto, abbia trasmesso alla figlia la propria fiducia nella scuola e soprattutto nella maestra? Fornendo alla bambina, involontariamente, il messaggio che il mondo esterno può essere un luogo meraviglioso, tutto da scoprire e che lei ha i mezzi per affrontarlo?
O non sarà, forse, accaduto il contrario: cioè che la bambina abbia mal interpretato il comportamento rassicurante del genitore, cioè il suo vivere in maniera serena il distacco e la separazione dalla figlia e così, disgraziatamente, le abbia trasmesso l’impressione che la vicinanza e la presenza fisica possono anche mancare in certi momenti perché l’amore unisce due persone anche nella distanza?!
Immaginate questa mamma che si trova a confrontarsi con questa inusuale situazione, quali frustrazioni può generare in lei la constatazione che il comportamento della figlia non è assolutamente corrispondente alla norma dei comportamenti degli altri bambini.
Persa in questo conflitto interiore, l’emotività, la razionalità e la responsabilità della mamma non trovano più pace né equilibrio.
Capite bene quanto è difficile, se non totalmente improbabile, per un genitore non lasciarsi coinvolgere a livello emotivo nel vedere il proprio figlio felice protagonista di una storia a lieto fine, quando è consapevole che il lieto fine nella vita non esiste e che a qualcuno, forse al genitore – ma perché non alla maestra? – spetterà l’ingrato compito di farglielo capire.
E così senza volerlo può ritrovarsi a peggiorare la situazione invece che mettere in atto azioni e comportamenti risolutivi e, nel tentativo di vedere le cose da un punto di vista logico e razionale giunge alla conclusione che è l’intera classe a soffrire del medesimo disturbo, in quanto tutti e 18 i compagni di classe della bambina manifestano gli stessi sintomi.
Alla mamma rimane, pertanto, un’unica possibilità: chiedere l’intervento di un professionista (la maestra!), per gestire la situazione sia dal punto di vista di comprensione del problema che dal punto di vista comportamentale.
Vi lascio solo immaginare quale soluzione prospetterà la madre all'insegnante, se non quella di rendere la vita scolastica della bambina un po’ più problematica, qualcuno preciserebbe solo “più stimolante”...
...Forse i compiti sono pochi? Proviamo a darne di più…
...Forse la bambina è in grado di svolgerli da sola? Mettiamola in difficoltà…
...Rendiamo le verifiche e gli errori un momento di possibile fallimento...
...Creiamo relazioni tra compagni più competitive e meno collaborative...
D'altronde, dove sta scritto che può esistere una scuola capace di rendere i bambini felici di viverla?
Chi mai l’ha pensato che una maestra può raggiungere, conquistare, lavorare e faticare per la felicità dei bambini?
O non sarà che noi genitori vogliamo una scuola di cui in qualche modo dobbiamo per forza lamentarci?
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per aver lasciato un tuo commento! La pubblicazione avverrà entro le 24 ore.
I contenuti offensivi o inadeguati saranno immediatamente rimossi.