Da sempre ospito in classe studenti e studentesse dell'Università, ma è dall'anno scorso che l'incrocio con i tirocinanti si è fatto particolarmente significativo. Viene dal fatto che sono richieste consapevoli, che nascono dalla volontà di poter osservare sul campo scelte educative e didattiche altre, di poter respirare direttamente il clima educativo, di poter toccare con mano che cosa significhi nel quotidiano scegliere di essere classe-comunità, di fare spazio alla costruzione di autonomia e responsabilità, l'apprendimento collaborativo, una scuola senza voto, l'alleanza educativa che porta i genitori in classe, l'autovalutazione e i colloqui con i bambini...
Ripeto qui ciò che, con grande piacere, anche se non ancora nei contesti che meriterebbero questi scambi, ho avuto modo di dire a chi si occupa della loro formazione. Sono stati due anni in cui ho incontrato studentesse che sapevano che cosa guardare e che sapevano vedere, capaci di emozionarsi davanti alla crescita dell'autonomia e degli spazi di libertà, di cogliere completamente il senso di scelte difficili, che abbassano il controllo per "passare la palla" completamente ai bambini... Sguardi che non si sono accontentati, che hanno letto puntualmente il blog e tutti i possibili materiali condivisi, che hanno chiesto di poter osservare oltre le ore di tirocinio, dentro quei momenti che avevano capito essere fondamentali. Abbiamo avuto le studentesse durante Aula aperta, per i colloqui dei bambini, alla Fiera del libro...
Perciò, questa mattina, se non bene come avrei voluto, voglio dire grazie a queste studentesse e a chi si occupa della loro formazione perché, in uno scenario fragile come il nostro, restituiscono speranza.
La scuola ha bisogno di insegnanti curiosi, capaci di posare le guide didattiche e il libro di testo per scoprire altre strade; che non si scoraggiano davanti alle evidenti difficoltà di una scuola che abbassa il controllo, che sanno che cosa guardare e che ogni giorno riescono a riconoscere un nuovo pezzo di intenzionalità nelle scelte che incontrano; che lavorano per farle loro, che desiderano diventare maestri non perché avranno un "posto fisso ad orario ridotto" ma perché sanno che sarà la più bella sfida che potranno accogliere per offrire un futuro migliore alle nuove generazioni.
Avrei voluto dirlo meglio. La stanchezza del periodo non mi consegna abbastanza parole, ma spero che arrivi tutta la mia gratitudine perché incontri come questi non sono un arricchimento per le sole studentesse ma rappresentano un'opportunità straordinaria per noi insegnanti. È grazie a questi e alle "domande giuste" che ci troviamo a dare voce alla nostra motivazione, a rinnovare la nostra intenzionalità, a mettere a fuoco le nostre scoperte e, anche questo - assolutamente anche questo - a esprimere a voce alta le nostre preoccupazioni e le nostre paure. Perché, deve essere chiaro da subito, il nostro è un mestiere che non ti lascia mai tranquillo.
Allego una foto, è uno scatto di sabato 1 giugno, il momento in cui sono venute a salutarci Chiara e Cristiana, le due studentesse che sono con noi ormai dall'anno scorso e che ritroveremo ancora il prossimo anno. Non è rappresentativa, mancavano tanti alunni e mi sento anche un po' in difficoltà a condividerla dato che non ho foto di gruppo con le altre ragazze, ma ferma un momento di grande emozione. Chiara e Cristiana erano con noi per salutarci e ho visto i loro occhi caricarsi di commozione davanti a questi bambini di prima che hanno conosciuto mentre combattevano con le difficoltà fonologiche e hanno ritrovato a leggere libri, nonostante fossimo in orario di ricreazione.
Per il resto, se vorrete vedere le studentesse, le troverete negli scatti che vedono i bambini al lavoro, tra le isole, o sedute accanto a loro, ad osservare, ad ascoltare, a carpire quello che sanno che nessun libro potrà consegnare loro.
Grazie di cuore a Cristiana Corradi, Chiara Pusceddu, Claudia Melis, Irene Trudu, Erica Puddu, ai loro tutor e ai professori della Facoltà di Scienze della Formazione Primaria dell'Università di Cagliari.
Mi permetto di dirlo: la strada è quella giusta ed è l'unica possibile perché la scuola abbia la speranza di ripensarsi.
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