Non amo anticipare. Ed è il motivo per cui al termine anticipare preferisco sempre quello di preparare.
Sarà perché continuo ad osservare gli effetti negativi sulla motivazione nel dare le risposte prima che gli studenti si siano fatti le domande, e lo si fa davanti a un involucro chiuso.
Sarà perché continuo ad osservare gli effetti negativi sulla motivazione nel dare le risposte prima che gli studenti si siano fatti le domande, e lo si fa davanti a un involucro chiuso.
In questo modo, non solo viene meno l'insegnamento di Freinet "non si può dare da bere a un cavallo che non ha sete", ma si rischia di compromettere la costruzione della passione per il sapere.
C'è un richiamo alla vita quotidiana che secondo me chiarisce bene. Se compriamo un elettrodomestico, non andiamo a leggere tutte le istruzioni senza avere aperto la confezione. Prima lo apriamo, lo osserviamo, guardiamo i vari pulsanti, cerchiamo di intuirne le funzioni. Infine, torniamo sulle istruzioni per leggere con attenzione ed assicurarci che non ci sia sfuggito niente di importante su funzionamento e comandi e altre indicazioni, soprattutto quelle che ci consentono un uso in sicurezza. Così le riponiamo in un cassetto sicuro, al quale sappiamo di poter ricorrere se ci sfugge ancora qualcosa, o semplicemente per tornare su quelle informazioni che potrebbero esserci utili in situazioni particolari.
Mi scuso per la semplificazione, ma credo che renda.
Spesso, in classe, è come se posizionassimo una scatola chiusa davanti ai nostri studenti, una scatola che crea grande curiosità, ma la teniamo lì per un tempo infinito, fino a descrivere con le nostre parole tutto di ciò che si trova all'interno, chiedendo lo sforzo di immaginare quel contenuto di cui i nostri studenti non conoscono neanche la forma.
Quando finalmente apriamo la confezione, inevitabilmente, li abbiamo già persi.
Preparare è altro. Arrivato il momento della lezione, stimoliamo la curiosità, con un primo avvicinamento a ciò che sarà oggetto della proposta. Mi piace parlare di perturbazione, di rottura di un equilibrio che mette in movimento verso la scoperta autonoma, ma sempre dopo aver creato le condizioni organizzative perché l'attività possa svolgersi: materiali, formazione dei gruppi, riorganizzazione degli spazi, definizione dei tempi... per poi liberare. È il momento in cui si lascia spazio alla scoperta, senza temere gli errori, sapendo che su tutto si tornerà alla fine, con la restituzione guidata da alcune domande: come abbiamo funzionato? come ci siamo organizzati? cosa abbiamo scoperto? come abbiamo ragionato? quali sono state le difficoltà?... e con i necessari interventi correttivi (riposizionamento) e approfondimenti.
In questo caso, la motivazione resta alta. Le consegne sono chiare, gli studenti hanno i materiali a disposizione che possono integrare con quanto tornerà loro necessario. Si muovono sereni, integrano le loro competenze, si contaminano, sanno che non c'è un voto ad attenderli, ma una riflessione guidata che ha un solo obiettivo: far crescere tutti.
E vivono le esperienze completamente perché sanno che nel momento in cui gli viene passata la palla, questa resta nelle loro mani fino alla fine della partita.
Ma c'è un'altra preparazione, a me molto cara, sempre di più, fino ad essere arrivata a considerarla parte delle competenze fondamentali del docente. Si tratta delle anticipazioni cognitive, quelle che, visto il ruolo che assumono, ho sempre chiamato funzionali. Sono quelle che proponiamo, in modo non programmato, imparando a valorizzare il quotidiano, ciò di cui sono portatori i bambini, ciò che ci arriva dal mondo. Quelle che, se usate con consapevolezza e in modo ricorsivo, diventano risorsa fondamentale e vanno a costruire in modo morbido quelle preconoscenze che diventano bagaglio indispensabile per tanti saperi e abilità la cui appropriazione diventa complessa fuori dai contesti significativi.
Certo, significa capacità di intercettare le occasioni, di utilizzarle con consapevolezza, e comporta una conoscenza accurata delle Indicazioni Nazionali, chiarezza di ciò che vogliamo costruire - non oggi, non quest'anno, ma nei cinque anni, negli otto, nella vita - e capacità di isolare quei saperi che, più di altri, di queste anticipazioni hanno bisogno per raggiungere un'appropriazione solida. Perché se è vero che bisogna diventare capaci ad aprire, tanto dobbiamo esserlo a selezionare e, se necessario, a tenere fuori.
Nel mio caso, ne faccio largo uso nella riflessione sulla lingua e in campo logico-matematico. Per questo, mi è capitato spesso di parlarne sul blog.
Mi ricordo di un prezzo che, mentre camminavo verso la scuola, cercavo di staccare da un mappamondo gonfiabile comprato per la classe, che poi ho rincollato, in tutta fretta, illuminata da ciò che avrei potuto farne con la mia prima elementare (Un mappamondo, un prezzo e la voglia di provocare un po'), ma anche tutte le volte in cui, impegnati a raccogliere le quote per qualche attività, ci fermiamo sugli euro. Da poco, sono stati occasione per ragionare ancora sui multipli e sui sottomultipli, sul concetto di intero, su decimali e trasformazioni, in modo così naturale da rendere inutile qualunque anticipazione o accertamento delle preconoscenze nel momento in cui saranno proprio quei saperi ad essere oggetto specifico delle nostre proposte.
Perché tutta questa riflessione? Da un lato per il desiderio di fermarmi ancora su un aspetto a me molto caro: la motivazione si costruisce ed è un motore potentissimo; dall'altro perché, riflettendo su questi temi, ragionavo sull'importanza irrinunciabile della stabilità dell'organico. Qual è il nesso? - direte voi. Il nesso è che la conquista di uno sguardo lungo arriva quando, grazie alla stabilità, si iniziano a toccare con mano gli effetti di queste scelte nel tempo, in termini di motivazione e di appropriazione di conoscenze e abilità, e si inizia a comprendere davvero che non si costruisce mai una volta per tutte, ma avendo cura di fermarsi a valorizzare tutto ciò che ha significato nel momento giusto, sapendo che poi si darà spazio all'apprendimento organizzato.
Questo modifica l'insegnante, le scelte che fa, il suo rapporto con il programma e con i libri di testo, quello con il tempo e con tutto ciò che arriva fuori dalla scuola.
Questo aiuta, per dirla con Meirieu, a passare dalle conoscenze all'apprendimento.
C'è un richiamo alla vita quotidiana che secondo me chiarisce bene. Se compriamo un elettrodomestico, non andiamo a leggere tutte le istruzioni senza avere aperto la confezione. Prima lo apriamo, lo osserviamo, guardiamo i vari pulsanti, cerchiamo di intuirne le funzioni. Infine, torniamo sulle istruzioni per leggere con attenzione ed assicurarci che non ci sia sfuggito niente di importante su funzionamento e comandi e altre indicazioni, soprattutto quelle che ci consentono un uso in sicurezza. Così le riponiamo in un cassetto sicuro, al quale sappiamo di poter ricorrere se ci sfugge ancora qualcosa, o semplicemente per tornare su quelle informazioni che potrebbero esserci utili in situazioni particolari.
Mi scuso per la semplificazione, ma credo che renda.
Spesso, in classe, è come se posizionassimo una scatola chiusa davanti ai nostri studenti, una scatola che crea grande curiosità, ma la teniamo lì per un tempo infinito, fino a descrivere con le nostre parole tutto di ciò che si trova all'interno, chiedendo lo sforzo di immaginare quel contenuto di cui i nostri studenti non conoscono neanche la forma.
Quando finalmente apriamo la confezione, inevitabilmente, li abbiamo già persi.
Preparare è altro. Arrivato il momento della lezione, stimoliamo la curiosità, con un primo avvicinamento a ciò che sarà oggetto della proposta. Mi piace parlare di perturbazione, di rottura di un equilibrio che mette in movimento verso la scoperta autonoma, ma sempre dopo aver creato le condizioni organizzative perché l'attività possa svolgersi: materiali, formazione dei gruppi, riorganizzazione degli spazi, definizione dei tempi... per poi liberare. È il momento in cui si lascia spazio alla scoperta, senza temere gli errori, sapendo che su tutto si tornerà alla fine, con la restituzione guidata da alcune domande: come abbiamo funzionato? come ci siamo organizzati? cosa abbiamo scoperto? come abbiamo ragionato? quali sono state le difficoltà?... e con i necessari interventi correttivi (riposizionamento) e approfondimenti.
In questo caso, la motivazione resta alta. Le consegne sono chiare, gli studenti hanno i materiali a disposizione che possono integrare con quanto tornerà loro necessario. Si muovono sereni, integrano le loro competenze, si contaminano, sanno che non c'è un voto ad attenderli, ma una riflessione guidata che ha un solo obiettivo: far crescere tutti.
E vivono le esperienze completamente perché sanno che nel momento in cui gli viene passata la palla, questa resta nelle loro mani fino alla fine della partita.
Ma c'è un'altra preparazione, a me molto cara, sempre di più, fino ad essere arrivata a considerarla parte delle competenze fondamentali del docente. Si tratta delle anticipazioni cognitive, quelle che, visto il ruolo che assumono, ho sempre chiamato funzionali. Sono quelle che proponiamo, in modo non programmato, imparando a valorizzare il quotidiano, ciò di cui sono portatori i bambini, ciò che ci arriva dal mondo. Quelle che, se usate con consapevolezza e in modo ricorsivo, diventano risorsa fondamentale e vanno a costruire in modo morbido quelle preconoscenze che diventano bagaglio indispensabile per tanti saperi e abilità la cui appropriazione diventa complessa fuori dai contesti significativi.
Certo, significa capacità di intercettare le occasioni, di utilizzarle con consapevolezza, e comporta una conoscenza accurata delle Indicazioni Nazionali, chiarezza di ciò che vogliamo costruire - non oggi, non quest'anno, ma nei cinque anni, negli otto, nella vita - e capacità di isolare quei saperi che, più di altri, di queste anticipazioni hanno bisogno per raggiungere un'appropriazione solida. Perché se è vero che bisogna diventare capaci ad aprire, tanto dobbiamo esserlo a selezionare e, se necessario, a tenere fuori.
Nel mio caso, ne faccio largo uso nella riflessione sulla lingua e in campo logico-matematico. Per questo, mi è capitato spesso di parlarne sul blog.
Mi ricordo di un prezzo che, mentre camminavo verso la scuola, cercavo di staccare da un mappamondo gonfiabile comprato per la classe, che poi ho rincollato, in tutta fretta, illuminata da ciò che avrei potuto farne con la mia prima elementare (Un mappamondo, un prezzo e la voglia di provocare un po'), ma anche tutte le volte in cui, impegnati a raccogliere le quote per qualche attività, ci fermiamo sugli euro. Da poco, sono stati occasione per ragionare ancora sui multipli e sui sottomultipli, sul concetto di intero, su decimali e trasformazioni, in modo così naturale da rendere inutile qualunque anticipazione o accertamento delle preconoscenze nel momento in cui saranno proprio quei saperi ad essere oggetto specifico delle nostre proposte.
Perché tutta questa riflessione? Da un lato per il desiderio di fermarmi ancora su un aspetto a me molto caro: la motivazione si costruisce ed è un motore potentissimo; dall'altro perché, riflettendo su questi temi, ragionavo sull'importanza irrinunciabile della stabilità dell'organico. Qual è il nesso? - direte voi. Il nesso è che la conquista di uno sguardo lungo arriva quando, grazie alla stabilità, si iniziano a toccare con mano gli effetti di queste scelte nel tempo, in termini di motivazione e di appropriazione di conoscenze e abilità, e si inizia a comprendere davvero che non si costruisce mai una volta per tutte, ma avendo cura di fermarsi a valorizzare tutto ciò che ha significato nel momento giusto, sapendo che poi si darà spazio all'apprendimento organizzato.
Questo modifica l'insegnante, le scelte che fa, il suo rapporto con il programma e con i libri di testo, quello con il tempo e con tutto ciò che arriva fuori dalla scuola.
Questo aiuta, per dirla con Meirieu, a passare dalle conoscenze all'apprendimento.
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