A un mese dagli scrutini del primo quadrimestre, ho trovato su "La vita scolastica" di questo mese un articolo di Giancarlo Cerini, Dirigente tecnico USR Emilia Romagna su "I Tormenti della valutazione"; un articolo sintetico ma efficace che rinforza le mie convinzioni sulle quali spesso ha pesato l'assenza di un confronto reale a vantaggio della praticità della valutazione in decimi.
Lo riporto qui per tutti quelli che come me considerano la valutazione in decimi una vera sofferenza e che credono in una valutazione che tiene conto dei personali progressi del bambino, dei suoi intereressi e dei suoi talenti e che si impegna a prendere in carico gli insuccessi.
Lo riporto qui per tutti quelli che come me considerano la valutazione in decimi una vera sofferenza e che credono in una valutazione che tiene conto dei personali progressi del bambino, dei suoi intereressi e dei suoi talenti e che si impegna a prendere in carico gli insuccessi.
I tormenti della valutazione di Giancarlo Cerini, Dirigente tecnico USR Emilia Romagna
La vita Scolastica, marzo 2014
I tormenti sulla valutazione ci accompagnano da ormai molti anni. Nella scuola primaria, in particolare, da quando nel 2008 fu deciso di ripristinare l’uso dei voti in decimi, una pratica che era stata abbandonata negli anni ’70 (a seguito della legge 517). Ma a fianco del voto in questi ultimi anni sono apparsi via via: la certificazione delle competenze, la valutazione del comportamento, le prove Invalsi, un esame più severo in terza media (con una prova nazionale), cui si aggiungeranno presto: le visite alle scuole, i progetti di autovalutazione, i piani di miglioramento, il bilancio sociale. È un crescendo inarrestabile, quasi che la società avesse bisogno di dati inoppugnabili (di qui il mito della valutazione “oggettiva”) per potersi fidare della scuola.
Gli stessi genitori sembrano alla ricerca di conferme immediate sui risultati dei loro figli (e si fa presto, allora, a conteggiare gli otto, i nove, i dieci) piuttosto che di una comprensione dei loro progressi, dei loro interessi, dei loro talenti. E non sono sempre disponibili a dialogare con gli insegnanti su come poter aiutare i ragazzi a dare il meglio di sé, su come interpretare i loro cambiamenti, i successi ma anche gli insuccessi. In fondo anche valutare è un’arte, perché occorre saper coniugare la sincerità di un apprezzamento con la serenità e la fermezza di una relazione di aiuto. La valutazione non può essere racchiusa in un punteggio, né in un test asettico perché è parte integrante di un processo reciproco di crescita (e di conoscenza) tra chi è valutato e chi valuta. Il sistema dei voti non rende ragione di questa delicatezza e fu adottato troppo sbrigativamente sull’onda emotiva della richiesta di serietà e autorevolezza della scuola. È tempo di ripensare l’intera questione della valutazione, in particolare il decreto (Dpr 122/2009) con il quale si regolano esami, scrutini, pagelle, promozioni, bocciature. Aprendo a tutto campo la riflessione. Potremo scoprire con sorpresa che Paesi che ottengono livelli di eccellenza negli apprendimenti (come la Finlandia) non utilizzano valutazioni codificate fino a 12-13 anni, perché prima vogliono prendersi cura in modo “personalizzato” di ogni singolo allievo, promuovendone talenti, partecipazione, scelte autonome. Bravi! Pedagogicamente da 10 e lode.
Gli stessi genitori sembrano alla ricerca di conferme immediate sui risultati dei loro figli (e si fa presto, allora, a conteggiare gli otto, i nove, i dieci) piuttosto che di una comprensione dei loro progressi, dei loro interessi, dei loro talenti. E non sono sempre disponibili a dialogare con gli insegnanti su come poter aiutare i ragazzi a dare il meglio di sé, su come interpretare i loro cambiamenti, i successi ma anche gli insuccessi. In fondo anche valutare è un’arte, perché occorre saper coniugare la sincerità di un apprezzamento con la serenità e la fermezza di una relazione di aiuto. La valutazione non può essere racchiusa in un punteggio, né in un test asettico perché è parte integrante di un processo reciproco di crescita (e di conoscenza) tra chi è valutato e chi valuta. Il sistema dei voti non rende ragione di questa delicatezza e fu adottato troppo sbrigativamente sull’onda emotiva della richiesta di serietà e autorevolezza della scuola. È tempo di ripensare l’intera questione della valutazione, in particolare il decreto (Dpr 122/2009) con il quale si regolano esami, scrutini, pagelle, promozioni, bocciature. Aprendo a tutto campo la riflessione. Potremo scoprire con sorpresa che Paesi che ottengono livelli di eccellenza negli apprendimenti (come la Finlandia) non utilizzano valutazioni codificate fino a 12-13 anni, perché prima vogliono prendersi cura in modo “personalizzato” di ogni singolo allievo, promuovendone talenti, partecipazione, scelte autonome. Bravi! Pedagogicamente da 10 e lode.
Condivido pienamente quanto espresso nell'articolo: "occorre saper coniugare la sincerità di un apprezzamento con la serenità e la fermezza di una relazione di aiuto." Io credo che non si debba vivere la valutazione come una squalifica e un annullamento, bensì un momento genuino per prendere consapevolezza di sé. La nostra società ci impone forme di paragone altissime, ecco non dobbiamo cadere in quel tranello, dobbiamo, invece, esprimerci suggerendo con la massima serietà professionale tutto ciò che ancora possibile raggiungere e ottenere. Come insegnanti dobbiamo motivare l'allievo e i genitori a riscoprire i talenti che non hanno nulla a che fare con quelli richiesti dai talent show propinati dalla televisione. Il talento lo si riconosce perché conferisce il potere di agire e inaugura il "poter fare" senza il timore di sbagliare ed essere giudicati o come il titolo dell'articolo suggerisce, essere valutati. Ci dovrebbe essere un’onestà reciproca tra le parti coinvolte nell'esprimere e nel ricevere la valutazione.
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