mercoledì 30 marzo 2016

Noi genitori: Accogliere, ascoltare, accompagnare: voce del verbo amare

Solitamente vivo e scrivo.
Questa volta non ci sono riuscita, perché ci sono emozioni che per riuscire a raccontarle hanno bisogno di sostare nel cuore...vanno lasciate riposare.
Ora, nonostante sia passato del tempo, vorrei condurvi per un momento dietro le quinte del seminario “Ascoltando storie differenti", in quell'idea nata da un incontro di esperienze scolastiche diverse, da una richiesta di un genitore e da una completa disponibilità da parte di un'insegnante ad accoglierla e aiutare a realizzarla. Incontri e scambi che hanno restituito la speranza e la fiducia a chi, nel percorrere un cammino tracciato dalla sofferenza, dalla fatica, dall'incomprensione e dalla delusione, non riusciva più ad averne. La speranza di poter ancora trovare nella scuola delle persone, delle insegnanti capaci e disposte ad ascoltare e accogliere una storia differente: quella adottiva.
E non solo. Perchè l'adozione apre una finestra su tante altre forme di accoglienza e per questo può rappresentare uno strumento per ragionare sulle differenze, su tutte le storie differenti, sul come riconoscerle e comprenderle.
Sapete, ho sempre pensato che tutte le storie si intrecciano con le storie, e per avere un senso, per completarsi, le une hanno bisogno delle altre: una non può stare senza l’altra.
Così la scuola e la famiglia, due realtà, due storie che nella reciproca responsabilità educativa verso i bambini adottati e verso tutti quei bambini con un vissuto particolare, con un mondo che va lentamente e attentamente ricomposto e messo in ordine, hanno un senso solo se scritte e realizzate insieme.
L'idea nasce proprio con questa intenzione, dove noi genitori adottivi non vogliamo occupare nella scuola uno spazio speciale, particolare, da protagonisti, ma desideriamo costruire un dialogo e un confronto con una scuola disposta a vivere nella reciprocità e nel rispetto dei ruoli, quella responsabilità educativa che, com’è stato detto al seminario, è la prima relazione amorosa capace di rendere visibili dei bambini che per tanto tempo sono stati invisibili, anche a loro stessi. Una scuola che abbia presente che essere adottati rappresenta una condizione esistenziale che dura tutta la vita, e che in alcuni momenti del percorso scolastico e della crescita possono manifestarsi difficoltà, insicurezze, paure e atteggiamenti che possono essere compresi unicamente alla luce dell'adozione.
L'idea nasce proprio con questa idea che ho sempre avuto della scuola e che il seminario mi ha rimesso davanti.
Una scuola che occupa un posto fondamentale nella vita dei nostri figli adottivi, che assume un ruolo importante nella loro crescita emotiva perché, solo riconoscendoli, amandoli per quello che sono, considerandoli senza negare le loro differenze, senza privarli della specificità della loro storia qualunque essa sia, accettando le loro difficoltà, le loro parti più fragili, aiutandoli a misurarsi, a relazionarsi e riscoprirsi, potrà diventare quel luogo e quello spazio sicuro, capace di dare loro una grande serenità e sicurezza. Una scuola che diventa per loro un meraviglioso viaggio verso l'appartenenza...
Una scuola che prima di valutare o giudicare deve sostenere, attenta a riconoscere prima di tutto chi sta davanti a un compito, a un lavoro, a sentire quali sensazioni e stato d'animo lo accompagna nello svolgerlo, a percepire quali pensieri o preoccupazioni si affollano nella sua mente e nel suo cuore, a capire quali ostacoli potrebbero portare alla rinuncia e alla sconfitta. Una scuola che nel valutare deve considerare e mai dimenticare il punto di partenza di ogni bambino...deve riconoscere i sentimenti fermi nel suo presente, ma ancora tanto radicati nel suo passato, deve comprendere quindi che ogni bambino è il risultato di quello che ha vissuto e che inevitabilmente, tutto questo, determina e traccia il suo percorso di apprendimento. 
Io posso credere nell'esistenza di questa scuola perché ho incontrato un'insegnante che, davanti a una didattica, a un programma da seguire e portare a termine, ha fatto la sua scelta, il suo coraggioso investimento: perdere tempo con le emozioni. Un'insegnante che può insegnare, trasmettere ed educare solo emozionandosi...solo sentendosi parte della storia, del mondo, che ciascun suo bambino porta dentro di sé.
Ecco come quell'insegnante per i bambini portatori di una storia adottiva può davvero diventare tutore di resilienza posizionando il proprio cuore vicino al loro riuscendo a comunicare attraverso quel linguaggio che spesso è fatto di silenzi parlanti che trattengono ciò che è inesprimibile, ciò che stupisce, meraviglia ma anche ferisce e spaventa. E i bambini quel cuore lo sentono proprio tutto, sanno di avere affianco un adulto che vuole camminare con passo delicato e leggero, che ha la certezza che possono imparare solo se la loro sfera emotiva è a posto, se si sentono parte di un tutto, sicuri e amati; un'insegnante che con tenerezza, delicatezza e rispettosa accoglienza sa attendere il momento in cui il bambino decide di parlare di sé, perché in quel raccontarsi prova il grande bisogno e necessità di fare ordine per capire chi è, per riuscire a diventare.
E per farlo decide di fermare il tempo, di sospenderlo, un tempo che non potrà mai essere perso o sprecato quando ci si mette in ascolto, sapendo inoltre che spesso ci possono essere poche risposte certe rispetto a molte domande aperte. Ma questo non la deve disorientare o spaventare, perché dire non so significa rimanere dentro una verità, elemento essenziale per costruire un rapporto unico e di totale fiducia con il suo bambino adottato. Dire non so significa ci sono comunque, sono qui per te, desidero diventare insieme a te, attendere assieme a tevoglio con tutta me stessa prendermi cura di te. E prendersi cura è un atto concreto, un compito impegnativo ma concreto, vero e onesto che il bambino adottato non solo apprezza, ma lo fa sentire riconosciuto, considerato e gratuitamente amato.
Queste sono le storie che si intrecciano e che hanno senso solo se scritte insieme.
Vorrei concludere con un pensiero che mi ha sempre accompagnato nel mio essere genitore adottivo.
Senza differenza non c’è individualità; nella relazione senza accettazione non c’è ferita, non c’è affermazione dell’altro, non c’è amore. Non incontreremo mai due volti assolutamente identici. Ma sapremo riconoscerli e ammirarli. Non importa quale sia la differenza, la caratteristica, che li rende diversi. Tutto diventa relativo se sappiamo riconoscere in ciascun volto incontrato il simbolo della vita. Il bambino adottato sarà sempre un bambino adottato perché nato da un’altra mamma, da un altro padre, con un pezzo di storia a noi sconosciuto e che non abbiamo condiviso. Ma sarà, ed è, un bambino non abbandonato, perché figlio, continuamente generato nell'amore e nell'accoglienza di tutto quello che è e che porta, accompagnato nella sua maturazione, introdotto nel significato delle cose, rispettato nella sua diversità, peculiarità e soprattutto sempre e ovunque nella sua libertà.
Questo è ascoltare storie differenti.
Dove accogliere, ascoltare e accompagnare si possono coniugare alla voce del verbo amare.
Un verbo che mio figlio incontra tutti i giorni quando entra a scuola, nella sua classe.
Un verbo che la sua maestra non solo gli ha insegnato a riconoscere, ma soprattutto a sentire, a coniugare nei giusti tempi e modi…

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