domenica 22 maggio 2016

E sono trenta

Ho quarantotto anni e lavoro da trenta, senza un giorno di interruzione.
Un'esperienza professionale curiosamente intrecciata con lo sviluppo della tecnolgia in Italia e con il suo ingresso nella scuola.
Così, in questi giorni, ho ignorato i tanti impegni e mi sono fatta un regalo. Mi sono voltata indietro e ho provato a fermare il tempo che ha preso tanto spazio nella mia vita e che ha fatto di me quella che sono. La persona che sono. La maestra che sono.
Un tempo che ho scelto di portare qui per chi ha piacere di condividerne la memoria con me. 

Una premessa

Intanto bisogna fare una premessa. Sono entrata a scuola a cinque anni ed è come se questo mi avesse marchiato per sempre. In effetti, da allora, io ho fatto sempre tutto presto.
Ma il mio anticipo a scuola non è stato dato da una scelta dei miei genitori. Anzi.
Allora mandavano la cartolina agli obbligati e a me è stata inviata per errore. Così, felicissima di lasciare la scuola materna, il primo giorno di scuola mi sono presentata pronta per affrontare la scuola elementare.
Lì, accortisi dell’errore, volevano rimandarmi indietro. Ma, a quel punto, è stato impossibile. Così i miei genitori hanno chiesto a una maestra che conoscevano, la splendida Liliana Saragat, di accogliermi a Monteponi.
Questo anticipo si è raddoppiato alla scuola superiore, dato che, rinunciando mio malgrado al desiderio di fare l’Accademia di arte drammatica, ho seguito il consiglio di mia madre e mi sono iscritta all’Istituto magistrale. A diciassette anni compiuti da qualche mese, infatti, ero già diplomata con i miei sessanta sessantesimi.

La mia prima esperienza lavorativa
(La macchina da scrivere)

La mia esperienza lavorativa è iniziata con un bando dell’allora Carbosulcis S.p.A che faceva una selezione per addette di segreteria.
Ricordo ancora che le prove consistevano nella preparazione di una lettera commerciale, nella velocità con l’utilizzo della macchina da scrivere, in una prova di inglese e in un colloquio con il Capo del personale.
A quindici anni, con i soldi delle mie ripetizioni, mi ero iscritta al corso di dattilografia, dalle Signorine Licciardi. La sede era in un appartamento dopo una lunga rampa di scale in Piazza Pichi, proprio accanto al Teatro Electra. Mi ero iscritta al corso più lungo, quello di tre mesi. Questo insegnava a scrivere con la tastiera cieca (e parliamo di macchine meccaniche!) e ad impostare tutte le lettere commerciali.
Non avrei mai immaginato che scegliere di fare questo percorso mi sarebbe stato così utile.
Durante la selezione per la Carbosulcis conquistai un numero di battute sorprendente. C’è da dire che ancora oggi i bambini mi vengono tutti attorno, sorpresi, quando mi vedono scrivere velocissima e senza guardare la tastiera.
La mia preparazione per questa prova era consistita nell’esercitarmi con l’inglese e con il modello di macchina elettronica a tastiera cieca che sarebbe stata utilizzata per la selezione. Si trattava dell’Olivetti ET 115 e mi preparavo nel negozio di un amico di mio padre che vendeva le macchine da scrivere: Gianni Diana.
La prova si è svolta in due sedi. In una sala della Ragioneria di Iglesias, quando l’Istituto tecnico commerciale era nel bellissimo edificio accanto alla Chiesa del Collegio. Ricordo ancora una sala piena di macchine da scrivere e la partenza al via, proprio come avevo visto nei film.
L’altra sede era l’appartamento della scuola di dattilografia. Lì abbiamo preparato la lettera commerciale, sostenuto la prova in inglese e il colloquio con il Capo del Personale. Ero davvero inesperta e intimidita. Qualche mese dopo, fu proprio lui a chiamarmi e a dirmi: “Con lei sto facendo una bella scommessa”. Era la prima volta che una persona mi dava del lei.
Il primo giugno 1986 ho iniziato a lavorare. Un ufficio nel Servizio del personale della Carbosulcis S.p.A. Matricola 575.
Sono stata assegnata al servizio Assunzioni e Sviluppo con una collega più grande di me di quindici anni. Lei era lì già da cinque anni. Allora mi sembravano moltissimi; perciò, la consideravo molto esperta e molto grande. Pensandoci adesso, mi rendo conto che non era affatto così.
Eravamo in un ufficio a Nuraxi Figus, proprio nella porta accanto al Capo del Personale, di cui la mia collega faceva la segretaria, Rag. Franco Boi.
Non so quanti anni avesse allora Rag. Boi, a me sembrava molto anziano. Quello che so è che lui, per me, è stato una persona significativa. Severo e buono allo stesso tempo. Mi ha insegnato tutto.
Di lui parlo sempre anche con i miei alunni. Mi faceva rifare le cose anche dieci volte finché non erano perfette. Con Rag. Boi ho imparato a lavorare.
Ho imparato che c’è modo e modo di fare anche una semplice lettera e che la cura della forma è sostanza. Mi ha insegnato anche che non potevo presentarmi in ufficio con jeans e magliettina o tuta da ginnastica.
Lui mi diceva proprio tutto. E io ho imparato ad apprezzare questa sua severità e dolcezza insieme di chi ha a cuore la tua formazione.
Con la collega, invece, ho incontrato le resistenze che si sono rinnovate sempre nel mio percorso professionale. Ero molto giovane e desiderosa di imparare. Senza accorgermene, mettevo in discussione la tradizione con l’innovazione. Una cosa che non piaceva allora e che non piace oggi.

Il tempo in Carbosulcis
(Il computer, quello sconosciuto)

Quelli per l’azienda erano gli anni d’oro. Anche se di tutto questo è meglio che non parli. Vi dico solo che sono stata lì per cinque anni e mezzo e che alla mia assunzione ne sono seguite più di cinquecento. Tutto in pochi anni.
Era la fase in cui si credeva nel carbone. C’erano stati grossi investimenti. Ho visto nascere la discenderia, i nuovi uffici, la nuova mensa e ho visto arrivare in miniera le prime pile dell’armatura marciante. Non sapevo che cosa volesse dire penuria di strumenti e materiale. Avevamo tutto quello che neanche conoscevo e le dotazioni tecnologiche erano sempre all’avanguardia.
Ho imparato subito il lavoro d’ufficio. Gestire il registro del protocollo, fare la bozza di una lettera e scriverla a macchina, i principi dell’archiviazione. Ma la cosa più importante è stata che quando, appena due mesi dopo, tutti sono andati in ferie, a me è stato affidato il compito di costruire l’archivio delle domande di assunzione, che erano migliaia e che, fino ad allora erano state gestite a mano.
Questo è stato il mio incontro con il computer, preceduto solo da qualche giorno di corso al Servizio formazione di Seruci. Era organizzato dalla IBM.
Comunque, da subito, mi sono trovata a gestire un archivio. Il mio primo PC era un IBM 286. Ho imparato a ritrovarmi faccia a faccia con il Prompt del DOS e a lavorare con il db3 plus. Ho progettato l’archivio e ho studiato una codifica. Dopo di ché ho trascorso l’estate a inserire dati e ad imparare a gestire le query.
Negli anni successivi, ho avuto la fortuna di fare esperienze diverse. Tra queste, la più importante è stata certamente quella del mio passaggio all’Ufficio Studi e progettazione dove ho avuto modo di collaborare alla verifica continua dei lavori dell’interno. Ricordo che predisponevamo un rapporto periodico realizzato con tabelle e grafici (qui ho imparato l’utilizzo dei fogli di calcolo con funzioni avanzate) e alla progettazione con la CECA (Comunità Europea per il carbone e per l’acciaio).
La mia esperienza in Carbosulcis si è chiusa proprio mentre ero in questo servizio.
Ho dato il concorso a scuola e mi sono licenziata di domenica, quando il Provveditorato mi aveva già chiamato per la scelta della sede e avevo il decreto di assunzione in mano. Mi ero messa d’accordo per chiudere le cose senza dare il preavviso. Avevo troppa paura di trovarmi senza lavoro.
Di lunedì, era il 7 ottobre del 1991, a ventitré anni, ero in una piccola scuola a Rio Murtas, frazione di Narcao, ad insegnare italiano a bambini di prima elementare. Non avevo mai fatto un giorno di supplenza.
Qualche mese dopo in Carbosulcis è iniziata la crisi con la messa in cassa integrazione del personale.

L’inizio a scuola

Non so bene come mi fosse venuto in mente di passare alla scuola. Ad essere sincera, non è una cosa che mi ricordi benissimo. Credo che fosse con la convinzione di trovare una situazione lavorativa più rilassata.
In Carbosulcis lavoravo tutto il giorno, spesso dalle otto alle venti.
A vent’anni mi ero sposata e a ventuno avevo già mio figlio, quindi avevo bisogno di un po’ di tempo.
Lo scritto del concorso l’ho dato senza sperarci troppo. Ma quando ho visto che in questo avevo preso un voto molto alto (cosa che era abbastanza rara), ho deciso che dovevo passare l’orale, anche perché potevo contare sul punteggio massimo del diploma. A quel punto è stato un duro lavoro, intrecciato con tutti gli altri impegni e senza potermi permettere alcun supporto esterno.
All’inizio, a scuola, credo di essere stata aiutata dalla paura, che mi ha spinto a impegnarmi a fondo per trovare la strada, ma anche un po’ dall’incoscienza dell’età.
Avevo due classi, una prima e una seconda. Era un modulo verticale. Ma era la prima a preoccuparmi, c’erano diciassette bambini che aspettavano me per imparare a leggere e a scrivere, e io non sapevo proprio da dove cominciare.
Ho preso tempo con altre attività e mi sono chiarita le idee chiedendo aiuto a un’amica di mia madre, anche lei maestra. Una settimana dopo, sono partita.
Oggi so di aver fatto molti errori. Ma siccome, da subito, ho sempre guardato chi avevo di fronte e ho avuto attenzione per i più deboli, sono riuscita a fare il mio lavoro con tutti e a costruire con ogni bambino una relazione significativa.
Il resto è venuto da sé. Ho letto tanto, mi sono aiutata con le riviste (secondo me l’aiuto più utile per un insegnante che inizia), ho osservato molto i colleghi al lavoro ma, soprattutto, ho cercato di capire sempre i bisogni dei bambini e il modo in cui apprendevano.
Una cosa in cui mi sono impegnata da subito, facendo riferimento ai libri in cui avevo studiato, era trovare il modo di tradurre la teoria in pratica.
Ho sempre creduto nella scuola attiva e, forse semplicemente attenta all’età di chi mi veniva affidato, sono partita sempre dal fare.
L’entusiasmo dei miei anni ha fatto il resto. Ho portato a scuola tutto quello che ero e tutto ciò che avevo imparato con il lavoro in azienda.
Ho capito da subito che quell’esperienza, seppur così diversa, sarebbe stata la mia forza.
Contrariamente ai colleghi, avevo facilità a programmare, a organizzare il lavoro, a produrre materiali e a fare nuovi progetti.
Avevo con me una bella eredità.

Il primo cambiamento: la sperimentazione a Serbariu
(Il primo incontro con la tecnologia a scuola: dall’MS-DOS a Windows)

Riassumere l’esperienza di tutti questi anni a scuola non è facile anche perché, contrariamente a quello che si pensa, il lavoro nella scuola non è affatto immobile e per chi è disposto a mettersi in gioco ci sono un sacco di opportunità.
In poche parole, posso dire che ho scelto di essere sempre dentro. Ho vissuto la scuola completamente e ho avuto la fortuna di conoscerla da tutti i punti di vista.
Dal 1994, dopo soli tre anni dalla mia immissione in ruolo, mi è stato proposto il coordinamento di una sperimentazione ministeriale sull’informatica nella scuola elementare di Serbariu (1° Circolo didattico di Carbonia); qui le competenze maturate in Carbosulcis si sono rivelate immediatamente utili.
Erano anni in cui tutto doveva ancora nascere, quindi questa esperienza è stata molto importante e ha suscitato grande interesse.
Ricordo che avevamo pochissimi fondi, che ci avevano consentito esclusivamente l’acquisto di due PC 486, con i quali coinvolgemmo nell’avventura informatica tutta la scuola. I bambini allora non conoscevano il computer, dovevamo insegnargli tutto.
Prima che arrivassero i PC avevo predisposto dei lucidi con i quali iniziare a fargli conoscere la macchina. Avevo disegnato le diverse parti del computer che, con l’uso del fumetto, si presentavano ai bambini. Insegnavo loro a conoscere tutti i componenti hardware e le loro funzioni, la differenza tra hardware e software, le memorie e i diversi tipi di floppy disk.
I computer giravano con windows 3.11. Per me che ero rimasta ferma qualche anno da quando avevo lasciato l’azienda, si trattava già di un gran cambiamento. Conoscevo il DOS e mi ritrovavo con Windows.
Ricordo che passavo le sere nello studio di architettura di mio cognato a indagare l’uso del nuovo sistema e dei nuovi programmi. A casa avevo un mio pc funzionante in DOS e non potevo permettermene uno nuovo.
Sono stati anni vivacissimi. Poche macchine, ma utilizzate con tanta creatività. I bambini imparavano ad utilizzare le applicazioni con grande sicurezza e li avevamo coinvolti nella produzione di un giornale scolastico mensile che era divenuto l’artefatto che guidava tutti gli apprendimenti in ambito tecnologico e che agganciava l’intera vita della scuola. È allora che ho conosciuto Publisher.
Contemporaneamente, abbiamo iniziato a produrre i primi ipertesti, passando attraverso storyboard realizzati con i fili di lana. I bambini apprendevano il nuovo linguaggio e io stessa acquisivo nuove competenze cercando sempre nuove soluzioni accanto a loro.
Intanto nel plesso avevamo allestito un’aula laboratorio molto funzionale, con i pc alle pareti e tanto spazio per la cooperazione. I bambini lavoravano a turno, alcuni svolgevano il lavoro propedeutico nelle isole e gli altri, a gruppi di tre/quattro lavoravano al computer.
Eravamo un gruppo di docenti molto coeso, perciò in pochi anni il plesso era cresciuto molto e riuscivamo a contrastare bene le grandi resistenze all’innovazione (e alla nostra crescita) che venivano dalla sede centrale. Anzi, a dirla tutta, la difesa era diventata per tutte noi fonte di tensione ma anche di grande divertimento.
Sono stati anni di progetti interessantissimi, di premi, di nuovi fondi. Nel giro di poco tempo il nostro laboratorio accoglieva diversi PC, tra cui i nuovi Pentium, una bella conquista per una scuola elementare di allora. Sempre in quegli anni abbiamo elaborato un progetto di viaggi virtuali e di cinema a scuola. Così abbiamo acquistato una nuova macchina, questa volta di alta qualità, e il primo proiettore. Con i dvd facevamo conoscere il mondo ai bambini e li portavamo al cinema.
Ricordo che l’idea mi era venuta durante un programma televisivo in cui si parlava di mondo virtuale. Ero stata attentissima, ma alla fine della trasmissione non ero ancora sicura di aver capito.
Eppure mi era successa una cosa che mi sarei riconosciuta tante altre volte. Una parola, uno stimolo che hanno messo in moto la mia curiosità, la voglia di capire; e per me capire ha sempre significato toccare con mano.
Dalla nostra avevamo gli ispettori, l’allora Provveditore e il sindaco di Carbonia che, in quegli anni, era Antonangelo Casula. Il suo sostegno, in particolare, era sempre puntuale e preziosissimo.
A Carbonia, per la prima volta, avevo sperimentato cosa significasse una piena collaborazione tra scuola e Amministrazione. Era una cosa bella che non ho più ritrovato.
Facevamo tanti progetti che trovavano sostegno e noi eravamo sempre presenti alle iniziative in cui potevamo offrire il nostro contributo.
Ricordo la bellissima esperienza che ci coinvolse nel progetto di toponomastica del nuovo quartiere di Serbariu. Un interessantissimo studio, confluito nella denominazione delle vie con i nomi degli autori di libri per ragazzi e dei pittori.
Per noi maestre, quel progetto era stato anche occasione di “vendetta”. In quegli anni avevamo un Vicario terribile che non amava per niente il movimento del nostro Plesso e che ci attribuiva sempre cose inesistenti pur di arrestare le nostre iniziative. Eravamo continuamente soggette anche a richiami scritti. Ricevevamo le missive a casa e ci riunivamo tutte insieme, con tè e torta casalinga, per leggerle e rispondere insieme. Brave brave non eravamo.
Fu così che, al momento dell’attribuzione dei nomi alle vie, forzammo la mano dei bambini, e alla via del Vicario, che abitava proprio nella nuova zona di Serbariu, demmo il nome di via Collodi. Ci sembrava la più adatta per “Pinocchio”.
È stato proprio grazie alla Sperimentazione, che allora veniva continuamente monitorata dagli Ispettori, che ho avuto il piacere di conoscere, insieme a Uras, l’Ispettrice Mariella Spinosi.
Aveva fatto della nostra sperimentazione una relazione molto bella, che ho conservato, e aveva segnalato il mio nome al Ministero quando, in partnership con tin.it, stava prendendo avvio il progetto Webscuola.
E qui è iniziata un’avventura davvero poco comune per quegli anni. Solo ora me ne rendo davvero conto.

Contemporaneamente

Contemporaneamente è la parola chiave della mia vita. Sì, perché le cose non sono mai avvenute una alla volta.
Qui il contemporaneamente è rappresentato da tutte le esperienze oltre, e grazie, alle aule.
Durante il mio secondo anno di insegnamento, mi ero iscritta all’Università. Non avevo mai studiato ciò che avrei voluto davvero e non potevo farlo neanche ora, però avevo deciso di soddisfare il mio desiderio di proseguire gli studi. Tuttavia, visti i numerosi impegni, decisi di fare una scelta mirata all’eventualità di poter dare, in futuro, il concorso direttivo. Perciò mi sono iscritta in Vigilanza scolastica.
In quegli anni cercavo di frequentare tutte le possibili lezioni in facoltà e di dare i diciassette esami previsti. Nonostante avessi le centocinquanta ore, cercavo di non mancare mai da scuola. Di mattina ero in classe e di pomeriggio all’università, a sessanta chilometri di distanza. Quando ero a casa, preparavo le lezioni e studiavo seduta in terra, accanto a mio figlio, che passava ore ed ore con le costruzioni ascoltando gli strani discorsi di sua madre.
Un percorso fortunato perché, proprio come quello alle superiori, ho avuto la fortuna di incontrare docenti preparatissimi che hanno fatto crescere la mia voglia di imparare e mi hanno offerto riletture del mondo della scuola. Riletture dalle quali non sarei più tornata indietro.
Nonostante la scuola, il figlio piccolo e un grande trauma familiare mentre mi accingevo a concludere il mio percorso, ho vissuto l’università con una motivazione altissima e mi sono applicata al massimo per ogni esame fino a completare il mio impegno.
Ancora oggi, nonostante il mio titolo abbia perso valore, e molti storcano il naso pensando che non fosse un percorso adeguatamente formativo, io so di aver dato esami ricchi e impegnativi e senza sconti rispetto agli altri corsi di studio e che sono questi ad aver dato un grande contributo all’insegnante che sono diventata.

Il contemporaneamente non finisce qui
(Il PSTD: le tecnologie entrano in tutte le scuole)

Nel 1997 ho avuto la nomina di componente del Comitato di consulenza del Provveditore agli Studi di Cagliari nell’ambito del “Programma di sviluppo delle tecnologie didattiche 1997/2000” e, nel 1998 di referente del Provveditorato agli Studi di Cagliari per l’attuazione dei progetti previsti all’interno del Programma. Esperienze che mi hanno allargato lo sguardo e mi ha fatto conoscere tante persone e, soprattutto, Annaluce Meloni, funzionaria del Provveditorato, con la quale è nata da subito un’intesa che ha aperto a tante nuove esperienze, ivi compresa quella del Progetto SeT (Scienza e Tecnologia).
In quegli anni, ho iniziato anche a fare formazione. Era l’anno scolastico 1997/98, avevo ventinove anni. Ero nella scuola da sei.
La fiducia è arrivata da una Preside che, nonostante piacesse poco per il suo carattere e il suo essere esigente, aveva una bella idea di scuola e apprezzava la motivazione e l’impegno di chi poteva offrire un contributo per migliorarla. Lei, Anna Maria Portas, è la prima dirigente che non ha avuto paura di darmi spazio.
Le prime esperienze le ho fatte dentro la scuola, a costo zero. Poi ho iniziato a essere chiamata dappertutto. I colleghi e i dirigenti parlavano fra loro e in poco tempo mi sono trovata ad avere così tante richieste da non riuscire a soddisfarle.
Allora i primi corsi che stavano partendo erano gestiti da ingegneri informatici. Ai colleghi veniva presentato tutto delle macchine, ma nessuno gli insegnava davvero a lavorare o si soffermava sul possibile impiego nella didattica.
Io facevo proprio come con i bambini a scuola. Proponevo la realizzazione di un artefatto, studiando la proposta perché richiedesse di mettersi in gioco con tutte le competenze necessarie e offrivo modelli di esperienze realmente realizzate.
I primi corsi erano stati tutti di prima alfabetizzazione, poi ci sono stati quelli mirati alla costruzione di ipertesti, di prodotti multimediali e così via…
Una cosa è certa. Ho sempre condiviso la mia motivazione e tutto quello che sapevo e, proprio come con i bambini, i corsi erano per me ulteriore occasione per acquisire nuove conoscenze.
Mi hanno sempre chiesto tutti, dove mi fossi formata per avere tante competenze. Io, che guardavo sempre a quello che non sapevo fare, non mi sentivo affatto competente, perciò davo sempre l’unica risposta possibile: - A scuola, con i miei bambini. Provando, sbagliando, riprovando ancora.

Webscuola
(L’incontro con la rete)

Su Webscuola devo tornare. Non è un’esperienza che si può liquidare con due parole.
Webscuola è stata l’apertura verso un nuovo mondo. È stata la prima volta in cui “ho preso un treno” sentendomi completamente incosciente.
Ricordo che ricevetti a casa una chiamata da un rappresentante del Ministero, Giovanni Fiorentino, che mi invitava a Camogli per la presentazione di questo progetto. Stavano chiamando quei docenti in Italia che si erano distinti per le loro esperienze nel campo della tecnologia.
Mi dissero subito che il mio nome lo aveva dato l’Ispettrice Mariella Spinosi.
Mi si chiuse lo stomaco. Presi tempo.
- Com’era possibile che chiamassero proprio me? Io non sapevo fare niente, non ero nessuno. Come potevo presentarmi a Camogli con rappresentanti del Ministro (ci sarebbe stato Fierli), dell’Università (avrei trovato Maragliano, che avevo tanto ammirato nei libri), dell’innovazione tecnologica in Italia?
Mi è venuta voglia di rifugiarmi nella mia zona di comfort. Serbariu la conoscevo, le scuole pure, le mie esperienze erano già molto ricche.
Mi sentivo improvvisamente piccola per sporgermi troppo.
E invece ho accettato. La verità è che ci sono momenti in cui, nonostante la paura, si presentano esperienze a cui bisogna essere pazzi per dire di no.
E sono partita.
Accolta dalla bellezza di Camogli è iniziata un’esperienza bellissima.
Prima di tutto, nel confronto, ho potuto comprendere e rileggere le mie esperienze. È lì che ho capito che erano forti e che anche io avevo tante cose da dire.
Non solo. Per la prima volta ho avuto consapevolezza di avere tante idee e che le mie idee piacevano. Ma, soprattutto, che avevo una qualità che non era poi così comune. Quando pensavo una cosa la facevo davvero.
Così è iniziata una nuova avventura.
Prima sono diventata ambasciatrice di Webscuola (solo molto tempo dopo ho riconosciuto questo ruolo nell’esperienza americana), poi sono entrata nel coordinamento didattico. Ero approdata nel mondo della rete.
Tin.it dava alle scuole un kit per la connessione a internet e Webscuola elaborava le proposte per le classi. Si trattava di eventi sincroni (era il 1999!): incontri con scrittori, personaggi del mondo dello spettacolo, webtour e veri e propri laboratori della durata di due mesi con spazi di collaborazione asincrona e appuntamenti periodici online.
Nel giro di poco tempo mi sono trovata a collaborare alla progettazione e alla promozione di attività collaborative online che coinvolgevano scuole di tutta Italia e a sperimentare la moderazione diretta di eventi, ivi compresi quelli programmati per Internet Fiesta, festa internazionale patrocinata dalla Presidenza del Consiglio. Era il marzo 2001. Quindici anni fa.
Grazie a Webscuola ho conosciuto le potenzialità della rete nella didattica, sono entrata virtualmente e in presenza in tante classi d’Italia, ho vissuto in prima persona eventi come il primo TED di Genova e lo SMAU di Milano. Ricordo ancora l’emozione del mio arrivo in taxi alla fiera di Genova quando, proprio in quel momento, nel maxischermo in alto, che stava all’ingresso, proiettavano il mio evento. Presentavo un sito per la scuola che avevo realizzato con un’applicazione di Tin.it (Easy self Site) che prevedeva anche aeree ad accesso riservato per le famiglie con la valutazione degli studenti (una sorta di registro elettronico).
Andavamo a mille e le scuole viaggiavano con la linea PSTN. Solo in qualche caso si iniziavano ad affacciare le linee ISDN. Connessioni lentissime senza nessuna stabilità.
Ricordo Internet fiesta organizzata nel salone della scuola di Serbariu adibita a festa. Avevamo invitato le famiglie (un po’ quello che oggi si è proposto con la settimana PNSD). Il collegamento con le scuole era moderato dalla nostra scuola che portava la linea al pc con un lunghissimo cavo che non abbiamo mai capito come abbia miracolosamente retto.
Con Webscuola, nonostante per le scuole fosse tutto gratis, ho conosciuto un livello tecnologico altissimo e investimenti senza precedenti.
Mi era chiaro che dietro c’erano tanti soldi e la volontà di coinvolgere le scuole per arrivare alla società.
L’unico aspetto che non mi piaceva era quello di un concorso per le scuole, ma questo faceva parte delle mie rigidità che resistono ancora oggi e che, forse, sono un po’ esagerate.
L’esperienza è andata a spegnersi da sola con l’integrazione di Tin.it a Seat Pagine Gialle.
Oggi di Webscuola non si ricorda più nessuno, o quasi, anche se ancora tanti nomi di esperti nel campo del digitale li collego a quella esperienza.

La scuola incontra la rete
(La rete e la spinta alla diffusione)

Sempre in quegli anni sono entrata a far parte del Distretto scolastico nr. 17 di Iglesias e ho trovato il gruppo adatto per dare gambe a un progetto su cui iniziavo a ragionare da tempo: il primo seminario provinciale “La scuola incontra la rete”. Era il 1999. Sede Iglesias, provincia Cagliari.
Quel primo seminario, ma anche quello dopo, arrivato l’anno successivo su due sedi, Iglesias e Cagliari, sono stati l’espressione di cosa si può fare quando si mettono insieme tutte le esperienze. A quegli eventi, di cui ho curato progettazione e organizzazione, hanno dato il loro enorme contributo il Provveditorato, con il quale collaboravo ancora, la Provincia e Webscuola. Il Provveditorato ha dato il riconoscimento e la sua presenza puntuale ed efficace con Annaluce Meloni, che era la referente del PSTD che si chiudeva nel 2000, e Webscuola ci ha sostenuto, portando formatori di grande forza, tra cui Roberto Maragliano, e mettendo a disposizione Webscuola e tutto il supporto tecnologico grazie alla Business Press di Milano, l’azienda che gestiva l’ambiente.
Il secondo convegno, quello svolto su due sedi nel 2000, è stato integrato con l’organizzazione di undici laboratori collegati tra loro con appuntamenti sincroni per riflettere, muovendo da esperienze concrete, sull’utilizzo della tecnologia e della rete a vantaggio di una didattica attiva.
Oltre duecento referenti PSTD coinvolti.
Devo confessare che quando penso che sono passati sedici anni mi rendo conto che erano tempi in cui eravamo capaci di guardare davvero avanti.
Ce lo siamo ripetuti con tanti compagni di viaggio di quegli anni, sempre con Anna Vidoni, l’amica storica di Webscuola: era troppo presto.

La fine dell’esperienza a Serbariu
(Il FOR TIC, la formazione tecnologica per tutti)

Alla fine del duemila, dopo aver assunto più volte il ruolo di responsabile di plesso, sono diventata collaboratrice e poi docente vicaria, incarico che ho mantenuto per quattro anni, e ho vissuto con questo ruolo tutto il passaggio della scuola all’autonomia. Ho sperimentato in prima persona la costruzione del primo POF e tutti gli impegni della nuova scuola, compreso il primo programma annuale.
Nel nostro Istituto, infatti, c’era un segretario, quello che oggi si chiama DSGA, con il quale avevo un rapporto umano bellissimo, ma che litigava con i nuovi strumenti; perciò ho lavorato accanto a lui anche in tutti gli aspetti amministrativi della scuola.
Questo lo racconto perché so che l’aver avuto modo di conoscere anche la faccia amministrativa della scuola è stato fondamentale per capire davvero il funzionamento di questa istituzione semplice e complessa allo stesso tempo.
Questa fase, però, ha modificato un po’ tutto. Con l’autonomia non ho avuto più l’incarico sulla sperimentazione e i Collegi dei docenti non erano pronti per individuare persone nell’organico funzionale se non in risposta a bisogni troppo specifici.
Così le lotte tra i plessi hanno avuto la meglio e ho finito per potermi occupare della sperimentazione sempre meno.
La scuola stava cambiando e non avevamo avuto la determinazione per salvaguardare ciò che avevamo costruito. Questa volta le forze contrarie avevano avuto la meglio.
Alla fine, con il cambio di dirigente, prima uno e poi l’altro, ho lasciato tutti gli incarichi e ho finito per essere assegnata all’altro Plesso e, con questo, a Serbariu è finito davvero tutto.
In quel periodo, il mio impegno nella formazione è stato intensissimo. Erano anche gli anni del FOR TIC, che mi ha assorbito completamente.
Stavamo assistendo al più grosso Piano nazionale di formazione degli insegnanti sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

L’Università
(Le tecnologie di lato)

Dopo il FOR TIC, ho ridotto al minimo i corsi nelle scuole.
Mi stavo accorgendo che erano diventati ripetitivi e che non ero più motivata. Non volevo trasformarmi in uno dei tanti formatori, incapace di condividere emozioni.
Ormai accettavo solo quelle proposte meno orientate alla tecnologia.
Le nuove esperienze a scuola mi stavano facendo cambiare prospettiva. Vedevo nascere tanti laboratori, bei percorsi estemporanei, ma nel quotidiano, lo spazio riservato agli alunni era sempre lo stesso. Gli stili di insegnamento erano immutati.
Cresceva in me la consapevolezza che non sarebbero stati gli strumenti a determinare il cambiamento, ma che sarebbe stata necessaria una rivisitazione completa del modo di concepire la didattica. L’organizzazione dei laboratori ne era la testimonianza. Nella maggior parte dei casi, si trattava di grandi aule con tanti computer in fila e la postazione docente di fronte, al centro. L’obiettivo, per i più, era avere una macchina per alunno.
Per me era chiaro. La scuola aveva perso l’opportunità di ripensarsi.
Sentivo crescere il bisogno di cambiamento ed ero consapevole che la nuova situazione a scuola non poteva durare a lungo.
Carbonia per me era la sperimentazione, era Serbariu, era la spinta verso l’innovazione.
Così ho partecipato al bando come Supervisore all’Università di Cagliari.
Mi ricordo che mi sono ritrovata davanti al titolo di un tema senza averne fatto più uno da tanto tempo e che, durante la prova, mi sono resa conto che l’abitudine a rapportarmi con il computer aveva modificato il mio modo di scrivere. Dovermi confrontare con un foglio di carta mi metteva in difficoltà.
Poi è andata. Mi sono richiamata all’ordine, sapendo che non potevo lasciarmi fermare dall’assenza di uno strumento, e ho pescato dalla forza dell’esperienza. Così ho superato la prova e mi sono ritrovata inaspettatamente al primo posto della graduatoria.
Una bella soddisfazione e un nuovo inizio.
Il nuovo lavoro mi vedeva presente all’Università con un incarico a tempo parziale e a scuola per due giorni la settimana.
Intanto la mia sede era cambiata. Avevo chiesto il trasferimento a Iglesias, la mia città di residenza. L’esperienza con Carbonia era definitivamente chiusa.
L’incarico all’Università l’ho tenuto per quattro anni.
Anni molto belli. Veloci. Non avevo tempo per niente. Sempre di corsa tra Cagliari, la mia scuola ad Iglesias e quelle degli studenti per gli inserimenti per il tirocinio. Eppure li ricordo lenti.
Li ricordo lenti perché sono stati anni di riflessione. Anni in cui ho capito che ero stanca della tecnologia, o meglio della tecnologia che prendeva spazi non suoi. Ho capito che ciò che mi interessava davvero era la didattica, e che ciò che avevo apprezzato degli strumenti era il loro facilitare situazioni di apprendimento attivo, collaborativo e centrato sulla scoperta.
Sono tornata ai libri, ho letto molto, ho partecipato a tanti seminari e ho ripensato alla mia esperienza attribuendole nuovi significati.
Mi piaceva il tempo con gli studenti in aula. Mi rendevo conto che mentre porgevo loro la mia esperienza professionale, riuscivo a vederla per la prima volta completamente.
È in quel contesto che ho acquisito consapevolezza di alcune scelte forti che avevano connotato il mio fare scuola.
All’improvviso, l’interesse per la didattica e per la scuola viva ha preso il sopravvento. L’esperienza a scuola e quella della facoltà si nutrivano l’una con l’altra. Era un nutrimento ricco che faceva nascere continuamente nuove idee. Ho iniziato a documentare, usando il diario di bordo e le riprese video che proponevo in facoltà per riflettere con gli studenti.
Tutto rimbalzava da una parte all’altra e finalmente lo facevo con piena consapevolezza.
Anche in facoltà ho assunto tanti impegni, l’ho vissuta completamente. Nello stesso periodo mi sono avvicinata molto al Movimento di Cooperazione Educativa, anche se poi non sono riuscita a starci dentro. Nonostante sentissi, e senta ancora oggi, un’appartenenza completa, finisco sempre per non riuscire a stare nei gruppi. È come se mi sentissi soffocare e perdessi la motivazione ad esprimermi.
È quello che mi è successo in tutti i contesti, anche nel Gruppo di volontariato internazionale. Esperienze di vita bellissime, ma vincoli troppo stretti per riuscire a trattenermi.
L’ultimo anno, la lentezza è venuta meno. Senza accorgermene, la motivazione mi aveva di nuovo travolto e avevo detto troppi sì. Studenti a Cagliari. Studenti a Sassari. Scuola. Gruppi di lavoro in facoltà. Funzione strumentale a scuola. Corsi abilitanti. Corsi nelle scuole. Progetti… Troppo.
A un certo punto mi sono fermata e ho scelto di tornare a scuola tutta intera.
Era il 2008. Ero arrivata a quarant’anni. Era l’età giusta in cui chiedermi che cosa volessi davvero.

Oggi
(Tra tradizione e innovazione: alla ricerca di un equilibrio)

Penso che rientrare a scuola sia stata la scelta migliore che potessi fare. Sono tornata in classe con nuova consapevolezza e con la rinnovata volontà di tradurre le teorie in pratiche, di fare sperimentazione continua.
Non riesco a non pensare al mio lavoro se non come ricerca.
L’innovazione è sempre parte del mio quotidiano. È inevitabile per chi ama leggere i bisogni e cercare nuove risposte, per chi non sa resistere alle nuove riflessioni e non ha paura di scoprirsi.
Ma oggi, ho con me una ricca cassetta degli attrezzi che ama l’equilibrio tra tradizione e innovazione. È una cassetta che contiene i libri che ho letto, le riviste che mi hanno accompagnato, i bambini, i colleghi e tutti gli studenti che ho incontrato, i corsi che ho frequentato, le mie continue riletture, i tanti strumenti che ho fatto miei e quelli che ancora continuo ad esplorare. Alcuni sono digitali, altri analogici; altri non ci sono proprio, perché sono quelli che costruisco su misura ogni giorno.
Oggi, so chiaramente in che scuola credo. Ho capito che spazio voglio dare al bambino, qual è il compito che voglio avere e quale spazio voglio essere io per lui.
Oggi, trent’anni dopo quel primo giugno, so che questo è il mio lavoro. Il mio unico mestiere.
E so che è qui che voglio stare.
Mi sto fermando? No, non lo credo. Impossibile per me stare ferma, non ideare, non sporgersi almeno un po’.
Ma so che è da qui che può partire l’unico vero cambiamento. So che è da qui che io, maestra, possono porgere semplici ma utili riflessioni.

6 commenti:

  1. E' stato bellissimo leggerti.....grande, maestra Enrica!

    RispondiElimina
  2. Grazie Enrica per avermi dato la possibilità attraverso le tue esperienze di ripensare alle mie che per qualche tratto pur senza conoscerti ancora,si sono incontrate. Mi hai fatto ripensare alla nostra scuola che pur piccolina ha fatto esperienza di 486, di un solo pc per 30 persone che hanno paura del mouse, del progetto SeT di cui conservo i lavori, il primo TED di Genova al quale ho partecipato anch'io con molta incoscienza , ma con altrettanta curiosità.Sono cresciuta molto attraverso queste esperienze... e pio ForTic da alunna e da tutor. Il mio primo investimento per l'acquisto del pc e la fatica di pagare la connession... grande successo perchè mi ha messo in relazione ad esempio con Garamond e tutte le risorse sul web. la riflessione è ancora molto lunga,non so se riesco a fermare i pensieri. Grazie per avermi fatto riscoprire tante bellissime esperienze.

    RispondiElimina
  3. letto tutto d'un fiato e scoprire che grande persona sei mi ha fatto riflettere su quanto abbia da imparare ancora nonostante nella scuola ci sia più di te ...

    RispondiElimina
  4. Ho letto con piacere, e ti rivedo Nell' aula Dell 'università dove ho avuto modi di conoscerti e di stimati. Tu docente e io alunna. Ricordo il modus agendi, il tuo entusiasmo che mi ha permesso di proseguire in un percorso che alla fine mi sembrava privo di significato. Grazie Enrica.
    Sabrina ledda

    RispondiElimina
  5. Ho assaporato ogni passaggio dei tuoi vissuti! Per alcuni ho sorriso perché mi rivedo a scrivere senza guardare e ogni tanto mi fermo e penso a come faccio!credo sia un automatismo, abilità acquisita tanto tempo fa che rimane un potere fra le tue mani. Le lettere commerciali fatte alla ragioneria ma ancor prima per mio padre quando già da piccola giocavo a fare la sua segretaria con la macchina da scrivere, quella elettronica addirittura
    Per altre cose lette sono rimasta tanto stupita, tu Usavi il computer quando noi ancora non ne avevamo sentito nemmeno parlare. Tante esperienze e tanti incontri che sicuramente ti hanno arricchito ma io sono sicura che solo chi è già ricca dentro, cosi come lo sei tu, possa trovare nell'altro fonte di ricchezza e ispirazione. Una cosa ti caratterizza e ti distingue cara Enrica ed è la tua umiltà che ti fa onore! Felicissima di averti letto. Un abbraccio speciale barbara mura

    RispondiElimina
  6. Grazie, Enrica.
    Un racconto straordinario.
    Un racconto che coinvolge, che accoglie, che emoziona, che insegna e trasmette davvero tanto ma che offre ancora di più, con una generosità e gratuità che va al di là di tutto.
    Un vero contagio emotivo…
    Forse non sai bene come ti è venuto in mente di passare alla scuola, ma sai come hai deciso di entrarci e rimanerci: sempre tutta intera, con la testa e il cuore. Sai che posto vuoi occupare. Sai che maestra e persona vuoi essere. Sai che per te la vita e la tua professione, il tuo sentirti maestra, sono percorsi che non potranno mai scindersi; il tuo insegnare è il tuo vivere. Solo insieme possono avere un senso.
    Spesso nella vita diamo per scontato o facciamo fatica a riconoscere quello che invece merita davvero la nostra infinita e sincera gratitudine.
    Occorre alzare lo sguardo e farlo.
    Ancora, con il cuore, grazie.

    RispondiElimina

Grazie per aver lasciato un tuo commento! La pubblicazione avverrà entro le 24 ore.
I contenuti offensivi o inadeguati saranno immediatamente rimossi.