Mi è sempre più chiaro. La cosa più difficile per noi insegnanti resta evitare di anticipare, saperci spostare durante la scoperta, saper aspettare di riprendere la parola solo dopo.
Anche quando iniziamo a maturare la convinzione che ci siano capovolgimenti necessari, come la lezione alla fine, fatichiamo a dare spazio vero alla fase in cui, dopo aver posto problemi, dopo aver dato un’organizzazione chiara, dopo avere messo i materiali a disposizione, si libera.
Strutturiamo troppo o interveniamo troppo presto. Fatichiamo ad aspettare che gli alunni si confrontino con le richieste, cerchino una loro strategia, incontrino l’errore. Non diamo il tempo agli apprendimenti di farsi significativi.
Cerchiamo il controllo e rinunciamo ad apprezzare i tanti modi in cui può essere affrontata una stessa consegna e a conoscere strade che noi stessi non avevamo saputo vedere.
Perdiamo l’occasione di metterli insieme, di analizzarli con i nostri studenti e di riflettere su quale sia, se c’è, il metodo più funzionale e il più economico.
Ho rilevato che spesso, a frenare, sia la convinzione che “liberare” significhi rinunciare all’intenzionalità.
- A me dare tutta questa libertà non interessa. Io so cosa voglio che imparino.
Che si pensi davvero che chi lavora dando spazio al soggetto in scoperta perda il controllo delle competenze che vuole costruire?
Mi permetto di dirlo. È una falsa convinzione.
L’intenzionalità in una didattica attiva è sempre presente.
È presente in tutto il tempo che precede gli appuntamenti strutturati.
L’insegnante fa le sue scelte dentro il curricolo, sa quali sono le competenze fondamentali che vuole costruire oggi e nel tempo e conosce i saperi che deve implicare. Perciò, li scova in qualunque esperienza formale e informale e propone anticipazioni funzionali. Poi li posa, li ripesca, li intreccia, aspettando il momento in cui al centro ci saranno proprio loro.
Anche quando iniziamo a maturare la convinzione che ci siano capovolgimenti necessari, come la lezione alla fine, fatichiamo a dare spazio vero alla fase in cui, dopo aver posto problemi, dopo aver dato un’organizzazione chiara, dopo avere messo i materiali a disposizione, si libera.
Strutturiamo troppo o interveniamo troppo presto. Fatichiamo ad aspettare che gli alunni si confrontino con le richieste, cerchino una loro strategia, incontrino l’errore. Non diamo il tempo agli apprendimenti di farsi significativi.
Cerchiamo il controllo e rinunciamo ad apprezzare i tanti modi in cui può essere affrontata una stessa consegna e a conoscere strade che noi stessi non avevamo saputo vedere.
Perdiamo l’occasione di metterli insieme, di analizzarli con i nostri studenti e di riflettere su quale sia, se c’è, il metodo più funzionale e il più economico.
Ho rilevato che spesso, a frenare, sia la convinzione che “liberare” significhi rinunciare all’intenzionalità.
- A me dare tutta questa libertà non interessa. Io so cosa voglio che imparino.
Che si pensi davvero che chi lavora dando spazio al soggetto in scoperta perda il controllo delle competenze che vuole costruire?
Mi permetto di dirlo. È una falsa convinzione.
L’intenzionalità in una didattica attiva è sempre presente.
È presente in tutto il tempo che precede gli appuntamenti strutturati.
L’insegnante fa le sue scelte dentro il curricolo, sa quali sono le competenze fondamentali che vuole costruire oggi e nel tempo e conosce i saperi che deve implicare. Perciò, li scova in qualunque esperienza formale e informale e propone anticipazioni funzionali. Poi li posa, li ripesca, li intreccia, aspettando il momento in cui al centro ci saranno proprio loro.
Qui c’è tutto quel tempo che, agli occhi distratti, appare senza nome. Il tempo dell’investimento formativo, quello indispensabile per chi sa bene quanto serva agganciarsi ad ancore forti.
È presente quando progetta e predispone i materiali partendo da chi ha di fronte e quando solleva le richieste con la convinzione che l’intelligenza vada provocata perché sia messa in campo tutta.
È presente quando non interviene davanti agli studenti che sbagliano, ma si sofferma a rilevare tutto ciò che sarà utile per fare dell’errore risorsa.
Ed è presente quando, alla fine di un lavoro, si siede ad ascoltare, a capire e a guidare la riflessione, prima ancora di ristrutturare e arricchire.
È presente quando progetta e predispone i materiali partendo da chi ha di fronte e quando solleva le richieste con la convinzione che l’intelligenza vada provocata perché sia messa in campo tutta.
È presente quando non interviene davanti agli studenti che sbagliano, ma si sofferma a rilevare tutto ciò che sarà utile per fare dell’errore risorsa.
Ed è presente quando, alla fine di un lavoro, si siede ad ascoltare, a capire e a guidare la riflessione, prima ancora di ristrutturare e arricchire.
Non ci sono rinunce. Non c’è spazio per una bassa intenzionalità.
C’è una scuola che vuole gli studenti presenti. Li vuole motivati, curiosi, coinvolti, implicati completamente.
C’è la volontà di costruire autonomia e apprendimenti capaci di resistere nel tempo.
C’è una scuola che vuole portare in aula gli insegnamenti dei grandi maestri e le nuove riflessioni educative.
C’è il tentativo continuo di tradurre la teoria in pratiche.
C’è una scuola che vuole gli studenti presenti. Li vuole motivati, curiosi, coinvolti, implicati completamente.
C’è la volontà di costruire autonomia e apprendimenti capaci di resistere nel tempo.
C’è una scuola che vuole portare in aula gli insegnamenti dei grandi maestri e le nuove riflessioni educative.
C’è il tentativo continuo di tradurre la teoria in pratiche.
Dobbiamo scoprire le frazioni.
Mi assicuro con poche parole che i bambini abbiano chiaro il concetto di intero e che, quando parliamo di frazione, ci si riferisca a parti che devono essere tutte uguali.
Mi assicuro anche che sappiano leggere la frazione e capirne il significato: 2/4, due parti su quattro. Non gliel’avevo spiegato. Ma, sapendo che questo sarebbe stato un contenuto centrale del programma di quest’anno, dal principio ho colto ogni occasione per estrapolare le frazioni dal nostro vissuto, così che, prima ancora di “presentarle” sono già dentro il nostro zainetto, pronte ad essere ripescate.
Organizzo i bambini in gruppi eterogenei (piccoli gruppi da tre) e li invito a leggere la consegna sulla LIM, dove rimarrà per tutto il tempo.
Una consegna semplice, essenziale, facilitata dall’uso dei colori.
Chiedo di ritagliare delle parti date utilizzando la carta colorata, un colore per ogni frazione.
Non propongo solo frazioni proprie, ne propongo anche apparenti e improprie.
Sul tavolino verde, al centro dell’aula, facilmente raggiungibile da tutte le isole, metto tutto il materiale necessario. Do una busta a ogni gruppo e due fogli di ogni colore.
Nient’altro. Libero.
Vedo bambini che prendono righello e matita e dividono i fogli, pochi piegano. E già sono stupita. Ho proposto la carta perché mi sarei aspettata subito le piegature.
Rifletto, ma ormai non mi sorprendo mai troppo. Mi sono abituata a vedere i bambini affrontare le proposte in modo completamente diverso da come avrei fatto io.
Vedo comparire parti disuguali a causa di misure prese male, ma non intervengo. Dovranno essere loro a rendersene conto.
Poi in un’isola si inizia anche a piegare.
Eccoli alla richiesta di 1/8 e vedo comparire sul foglio una scelta che mi sorprende. Io avrei piegato in 2, poi in 4 e poi in 8. Normale per me, non per il gruppo di Anna che punta dritto verso una divisione in raggi.
Li vedo veloci sulla frazione apparente, mentre si bloccano quasi tutti su quella impropria: 6/4. Come fare?
Li lascio provare e sbagliare. Solo un gruppo riesce.
Sapevo bene di aver sollevato molto la richiesta, ma tornerà utile.
Arriva il momento della restituzione.
Per ogni gruppo un bambino incaricato si avvicina con la busta. Verifichiamo il contenuto pescando per colore.
Posizioniamo i vari pezzi sul foglio A4 e verifichiamo.
Scopriamo parti disuguali, frutto di misure approssimative e, in qualche caso, scelte sbagliate. Lascio che comprendano gli errori. Riflettiamo, chiariamo.
Vediamo tutte le strade utilizzate per risolvere le consegne-problema.
Ci fermiamo a ragionare su quella più funzionale ed economica. – Che cosa conveniva fare?
Ci soffermiamo sulla frazione apparente, rilevando che tutti i gruppi hanno portato un foglio intero; in qualche caso, nonostante la divisione, non ci si è soffermati neanche a tagliarlo.
Poi passiamo a quella che ha creato più difficoltà. Con questa, condividiamo il ragionamento dell’unico gruppo che ha intuito la soluzione. Non la chiamiamo impropria, non è importante adesso. Ciò che conta è scoprire che non necessariamente ragioniamo su un solo intero.
Completiamo ed etichettiamo. Definizione e nomenclatura.
Dopo la pausa, facciamo subito un’altra proposta.
Date delle parti di frazione, ricostruire l’intero.
Consegno un foglio su carta quadrettata in cui sono tracciate le parti date riferite a una frazione specifica.
Questa consegna non è semplice, difficilmente viene proposta. Ma sono stata da poco a un corso e ho raccolto questa sollecitazione.
Mi sposto sui bambini, li vedo subito recuperare righello e matita e muoversi con sicurezza.
Non inciampa nessuno.
E dire che avevo pensato di avere osato troppo. (…)
che posso dire ? Ho letto tutto d'un fiato con curiosità e mi hai ancora una volta coinvolto emotivamente .. posso dirti sinceramente, che sto imparando da te tante cose qua dentro ..e posso dirti che sai trasmetterle con semplicità e altrettanta profondità..
RispondiEliminaSono felice, Elisa. Io credo talmente tanto nei vantaggi di questa didattica che non posso che essere felice se questa arriva e contagia.Ti abbraccio!
RispondiEliminaGrazie Enrica per la plasticità con cui hai raccontato la tua didattica efficace. Hai ragione, l'apprendimento ha i suoi tempi ma anche le sue strade che spesso chi insegna non conosce perchè non può conoscere il pensiero di una persona, di ogni singola persona.Con una tua collega una volta si ragionava sull'atteggiamento dell'insegnante e una delle conclusioni è stata che a volte si insegna ascoltando
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