Questa mattina ho ricevuto un dono meraviglioso.
Arriva in un momento particolarmente difficile, quasi a volermi scuotere, a prendermi per mano, a ricordarmi di non perdere mai la speranza.
Un dono che desidero condividere, perché la scuola possibile, quella che mette al centro i bambini, che si ferma davanti a loro, che li ascolta, che sa riconoscere e accogliere il loro valore e la loro autenticità, può davvero esistere.
E io, l'ho incontrata.
E io, l'ho incontrata.
Vi lascio alle parole di Monica Nobile...
Isabella, una mamma adottiva dell’Associazione Genitori si Diventa della Sardegna, mi ha chiesto di condurre un laboratorio nella classe di suo figlio. Di solito non accetto questo tipo di incarico se non ho avuto prima la possibilità di condividere il progetto con gli insegnanti.
Ritengo molto importante che gli interventi in classe, che coinvolgono i bambini, richiedono la loro fiducia, una fiducia verso un estraneo, sia pure presentato come esperto.
Dunque, di norma, incontro prima gli insegnanti della classe, condividendo le idee, confrontandomi sull'approccio educativo e pedagogico, chiarendo bene i processi e i passaggi seguiti durante il fare creativo con bambine e bambini.
E’ importante che questi incontri, con chi lavora quotidianamente con i bambini, siano sinceri e costruttivi, affinché l’idea iniziale si arricchisca, e diventi adeguata e coerente con la situazione concreta della classe. Non credo nella posizione gerarchica e fredda dell’esperto che arriva e cala dall'alto la sua proposta, è uno scambio che consente di portare un’esperienza che poi gli insegnanti potranno proseguire nel tempo.
I bambini hanno le antenne, colgono immediatamente se ci sia sintonia, sincera simpatia, collaborazione.
Entrare in una classe, in una scuola, è sempre un’esperienza che riserva sorprese, che desta meraviglia, che porta in direzioni nuove, inaspettate…
Tornando a Isabella e alla sua richiesta, ho fatto un’eccezione e accettato senza riserve. La classe dove mi proponeva di condurre il laboratorio, è la classe di suo figlio Sebastian ed è la classe della maestra Enrica.
Isabella è intelligente, sa cosa chiedere, a chi e perché; è capace di giudicare una buona opportunità e di valutarne la ricaduta positiva.
E poi, conosco la maestra Enrica Ena! Ci siamo incontrate ad un convegno, riconosciute, piaciute, "annusandoci" abbiamo percepito vicinanza e possibilità di condivisione.
Non si tratta di una conoscenza di lunga data ma ci siamo dette le cose essenziali, scambiate ideali e convinzioni, senza fronzoli, quanto bastava per essere convinte che c’era la possibilità di lavorare bene insieme.
Dunque SI, Marina e io abbiamo progettato una mattina da trascorrere nella quarta elementare di Iglesias, classe di Sebastian e di Enrica.
La pensiamo con cura, in ogni passaggio, definendo modalità e obiettivi, procedendo in un progetto creativo che ci entusiasma: abbiamo la volontà di dare il meglio. Perché Sebastian, lo devo ammettere, non è un bambino come gli altri, è un bambino adottato, e questo lo fa ai miei occhi speciale e meritevole del meglio.
Il nostro laboratorio, come sempre, non prevederà lavoretti o performance, niente che costringa i bambini in attività frustranti e stressanti, gratificanti per gli adulti e poco interessanti per loro.
Vogliamo condurli con noi in un’avventura, dentro a una storia che affascini e conquisti.
Ci prendiamo tutta la mattina, dalle nove all’una, affinché sia possibile procedere con lentezza, assaporare, capire bene ogni passaggio e goderselo. E perché no, che ci sia il tempo anche per la distrazione, per lasciare che la testa vaghi un po’, per fare insieme una bella merenda ristoratrice durante la quale chiacchierare e conoscerci meglio.
Siamo emozionate, Marina ed io, quando entriamo in classe, credo lo siano anche i bambini, eccitati dalla nostra presenza, contenti di fare la nostra conoscenza, di accoglierci, di metterci a nostro agio.
Marina racconta una storia, mostra i libri che ci siamo portate e che portiamo in ogni occasione, i nostri assi nella manica, i nostri oggetti magici da estrarre dal cappello che sempre ci aiutano a stabilire il contatto, a dare inizio all’Incontro.
Proponiamo la prima attività; i bambini sono divisi in gruppi. Sappiamo di chiedere loro un impegno non trascurabile; lavorare in gruppo richiede trovare una sintonia, mettersi d’accordo su ruoli e compiti, parlare e lasciar parlare, procedere per mediazioni affinché ciascuno abbia il proprio spazio e il proprio diritto all’idea e alla parola.
Diamo loro alcuni suggerimenti, stimoli che li portino a scrivere creativamente, guidati dalla fantasia, liberi di trovare soluzioni, idee, risposte.
C’è da maneggiare il computer, tutti vogliono provare, i toni della voce si alzano, trovano, tutti, un accordo, una soluzione che preveda turni e rotazione di ruoli.
Abbiamo predisposto, in ciascun computer tante cartelle per loro, con immagini, musiche, domande stimolo.
In alcuni momenti il livello delle voci si alza sensibilmente, come succede quando c’è entusiasmo, voglia di esserci e di partecipare, quando le relazioni, schiette e sincere, portano anche a confronti accesi.
Allegra, vivace, confusione costruttiva…
Mai, nemmeno una volta, sento dire il fatidico “SILENZIO” dalla maestra Enrica, che passa tra i gruppi, collabora, aiuta, incoraggia, fa sentire la sua presenza adulta, autorevole e mai autoritaria.
Mi ritaglia alcuni momenti per uscire dalla classe, liberare la mente, lasciare che le emozioni e le impressioni della giornata trovino spazio e forma in me.
Rientrando mi avvicino a ciascun bambino, lo respiro, ne colgo l’emozione, annuso l’aria per verificare che non ci siano situazioni di difficoltà o di disagio.
Sono sorpresa! Da tanti anni lavoro nelle scuole ma difficilmente mi capita di partecipare ad un clima così sereno e allegro. Tutto fila. E certo non perché manchino le difficoltà: molti bambini di quella classe sono “speciali”, hanno bisogno di una guida particolare, possono facilmente entrare in crisi. Ma in quella classe si è lavorato affinché nessuno resti indietro e quando la crisi si presenta, tutti gli altri hanno imparato come fare, sono preparati ad affrontare le tensioni, sono abili e creativi nella ricerca di strategie.
Non ho di fronte una classe che esegue diligentemente un compito, ho davanti un cantiere creativo, dove persone molto diverse per carattere, modalità, inclinazioni e attitudini, hanno trovato un modo di convivere e di procedere con armonia, pur nell’allegra e talvolta accesa confusione.
Eppure, lo so, in questa quarta elementare si può procedere con un fitto elenco di sigle e categorie: DSA, PDP, BES, sostegno, adottato…
Mi sforzo, ma nemmeno per un attimo riesco ad abbinare uno di quei bambini ad una categoria.
Ho l’occhio esperto, mi accorgo che alcuni di loro hanno bagagli pesanti, vite complicate, carichi impegnativi, difficoltà di concentrazione, fatica a stare seduti.
Ci sono quelli che tendono a ritirarsi per timidezza o insicurezza, quelli che vorrebbero sopraffare e imporre, quelli che faticano ad esporre le proprie idee.
Eppure, nella visione generale, andando oltre il giudizio, superando la tendenza all’analisi del caso, riesco a cogliere nettamente LA CLASSE, non più somma di casi, nel senso di valore aggiunto del termine.
Ho di fronte un gruppo, dove le difficoltà di ciascuno trovano spazio e soluzione nella forza dell’insieme di essere umani unici e irripetibili, con le loro storie, le loro difficoltà, le loro creative, volitive, possibilità di farcela.
Guardo Sebastian con un occhio speciale, lo guardo da mamma adottiva che non può fare a meno di quell’occhio di riguardo e di attenzione particolare. Lo so, sono la pedagogista e non devo confondere i miei ruoli di professionista e di mamma. Ma ogni tanto, con cautela, mi concedo di farlo e lascio che una mia particolare sensibilità e vicinanza mi conduca vicino a bambini che condividono una storia con i miei figli.
Noto con piacere che Sebastian sta bene, proprio bene, con se stesso, con la maestra, con i compagni. Lo vedo concedersi la possibilità di qualche birichinata, senza timore, con allegria, ma anzi con la ricerca di alleanza e complicità con i compagni.
Lo guardo, pensando ai miei figli. Ne colgo una particolare sensibilità mista a particolare fragilità.
Intuisco una sua timidezza e nel contempo un modo di guardare di chi ne ha viste tante.
Mi fa piacere, un piacere profondo, vedere che Sebastian sta bene in classe. Di quel benessere di cui parlano le Linee Guida, ancora poco applicate, poco comprese, eppure ricche di spunti e di suggerimenti affinché questo benessere si realizzi. Sebastian ha trovato a scuola un suo mondo dove poter essere sé stesso, bambino speciale, che non necessita tanto di protocolli quanto di accoglienza e sensibilità. Sebastian ha trovato il suo posto e lì sta, a volte comodo, a volte in difficoltà, mai solo e mai senza la possibilità di stare meglio. Questo penso mentre lo guardo e mi avvicino a lui.
E’ quasi l’una; abbiamo fatto un gran bel lavoro, siamo tutti soddisfatti, in classe serpeggia la soddisfazione. Mi sorprendo a pensare “Sebastian non è un bambino adottato…è un bambino!
Già è così che voglio concludere la mia storia.
Cara, carissima mamma Isabella e cara Super Maestra Enrica, ecco la scuola che vorrei…
E’ una scuola dove non ci sono referenti, protocolli, linee guida, direttive, perché non ce n’è bisogno.
E’ la scuola dove può capitare di incontrare Sebastian, intuirne una storia complicata e dolorosa e avvicinarsi lentamente a lui, con la sensibilità, la competenza e il piacere di condividere ciò che lui deciderà di regalarci. E’ una scuola dove possiamo prendere Sebastian per mano e accompagnarlo dentro a una classe che è gruppo, che è insieme di persone che condividono e che imparano a stare insieme nel rispetto di tante storie differenti.
E’ la scuola del “non uno di meno” dove Sebastian può crescere, cogliere alcune possibilità di guarire almeno un po’ le sue ferite, scoprire i suoi talenti e convincersi dei suoi valori.
E’ la scuola dove Sebastian può stare bene, esattamente come tutti gli altri suoi compagni.
E’ la scuola che da autentico valore alle bambine e ai bambini, nostro bene primario, nostro futuro.
Monica Nobile
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