domenica 7 aprile 2019

Paulo Freire: le virtù dell'insegnante

Coraggio di amare, umiltà, coerenza, pazienza (o la paziente impazienza), curiosità.

[… ] Io sono convinto che come educatore, parlando ad un gruppo di giovani che si preparano per la pratica educativa o per la riflessione pedagogica, non potrei non parlare di alcune qualità che un’educatrice e un educatore, in una prospettiva progressista, hanno la necessità di creare. Qualità, virtù che devono essere create perché le virtù non cadono dal cielo, ma siamo noi che le creiamo nella nostra pratica quotidiana.
Dunque, vi parlerò di queste virtù.

Penso che la prima virtù che come educatori dobbiamo costruire continuamente in noi è il coraggio di amare. È triste che ci sia bisogno di parlare di coraggio di amare perché, infatti, si dovrebbe solo dire che si deve amare: amare il processo educativo stesso, amare la pratica educativa, amare lo studente con cui lavoriamo, indipendentemente dal fatto che a lui noi piacciamo.
Per questo parlo di coraggio di amare.
E badate bene che non sto parlando di un atto di amore falso, ma di un atto che coinvolge realmente.
Questa è la prima qualità che un educatore dovrebbe costruire, a volte forzando un poco la propria maniera di essere.
Io non concepisco la pratica educativa senza questa capacità di amore.

Accanto alla necessità di amare, c’è un’altra qualità che, o si costruisce immediatamente nella pratica educativa, oppure la pratica educativa stessa si pregiudica. Parlo dell’umiltà.
Anche in questo caso, non mi riferisco a un’umiltà usata come pura tattica, un essere umile per piacere agli studenti. L’umiltà non può essere un mezzo falso per nascondere l’incompetenza dell’insegnante. L’umiltà a cui mi riferisco è quella che porta l’educatore a rispettare intensamente l’educando, il suo livello di conoscenza e, allo stesso tempo, a rispettare se stesso.
Io penso che un insegnante che si glori di se stesso, che prenda le distanze dall’alunno come se si sentisse un sole che illumina l’allievo senza luce, quest’insegnante anche se è competente nella sua materia, dimostra di essere incompetente dal punto di vista umano.
Per un educatore umile non ci sono mai domande stupide e neppure risposte definitive. La domanda dell’educando ci introduce alla condizione stessa dell’esistenza umana. La curiosità dell’educando deve essere stimolata continuamente.
L’educatore umile non ha paura delle domande dell’educando, si espone ad esse proprio perché non è preoccupato dal fatto di dichiarare che non sa dare risposta a qualcuna di esse.
L’educatore è cosciente che è esattamente riconoscendo che non sa che può iniziare a conoscere nuovamente e assieme allo studente stesso.
A volte l’educatore pensa ingenuamente che se rivela di non sapere perde la sua forza morale di fronte all’alunno. Ma lo studente ha un’incredibile capacità intuitiva che gli permette di intuire la falsità del sapere dell’insegnante. Lo studente indovina la mediocrità dell’insegnante e indovina la competenza dell’insegnante. Ha una sensibilità particolare in questo senso che gli deriva dalla sua condizione di allievo.
Dunque, un insegnante umile ha il coraggio di ammettere che ignora la risposta ad alcuni quesiti, e questo gli consente di superare questo impasse assieme allo studente.
Un educatore umile non ha paura delle domande e neppure cerca di ironizzarle.

Un’altra virtù che l’educatore deve costruire, creare attraverso la propria pratica, è la coerenza. Questa virtù consiste nel diminuire la distanza tra ciò che diciamo e ciò che facciamo.
Non mi interessa che la coerenza sia totale, assoluta, perché questo è impossibile. La vita sarebbe troppo noiosa se fossimo assolutamente coerenti.
Immaginatevi una persona che si alza alla mattina e arriva alla sera assolutamente coerente. Io preferirei morire piuttosto che essere così coerenti. Sarebbe inoltre impossibile riconoscere la coerenza senza l’incoerenza.
Quello che è necessario e assolutamente fondamentale è vivere il limite etico dell’incoerenza. È possibile che ci siano educatori incoerenti al di là del limite, e questo crea problemi molto seri agli educandi.

Queste virtù si costruiscono giorno per giorno. È la pratica stessa che insegna all’educatore come costruire queste virtù. A volte impariamo molto lentamente.
Io mi ricordo che alcune di queste virtù già le avevo quando ero diciottenne. Ho dovuto tuttavia crearle e ricrearle nella pratica educativa. E molte volte è difficile, e costa fatica, perché nessuno può decidere di averle per decreto. È necessario avere pazienza. Non si deve essere delusi quando non riusciamo a mettere queste virtù in pratica.

Un’altra virtù, allora, è quella della pazienza con gli educandi.
Tuttavia non si può essere solo pazienti, si deve essere anche impazienti. Si deve anche congiungere la pazienza all’impazienza, creando quella che io chiamo: paziente impazienza.
A volte come educatrici ed educatori ci innervosiamo davanti alla difficoltà che alcuni studenti incontrano nei processi di apprendimento. Questa inquietudine ci porta a volte alla rabbia, e questo è ingiusto. L’inquietudine mette in evidenza la nostra paura di non riuscire a svolgere il programma che avevamo deciso, di non riuscire a far conseguire un buon esisto all’educando. Allora diventiamo profondamente impazienti, e quanto più siamo impazienti tanto più provochiamo un sentimento di sfiducia che lo studente ha nelle proprie capacità di imparare. Oppure l’impazienza diventa una sorta di cinismo. L’educatore insegna pensando che, se l’educando non apprende, questo dipende da lui, resta un problema suo. Secondo me questo non è vero. L’insegnante deve preoccuparsi se l’alunno apprende oppure no. Deve lottare perché lo studente impari, non può lavarsene le mani.
Io penso che questa virtù della paziente impazienza aiuti l’educatore ad affrontare le difficoltà dello studente.
La testimonianza che l’insegnante dà di queste virtù, durante la sua attività docente, aiuta lo studente a non lasciar perdere, a non lasciarsi prendere né da una pazienza troppo passiva, né da un’impazienza che ostacola il processo stesso della conoscenza.

Un’altra virtù che dobbiamo avere è quella della curiosità, curiosità che dobbiamo proporre agli educandi. Non voglio dire che qualcuno insegni la curiosità, tuttavia l’educatore può offrire il suo modo di essere come esempio di curiosità. Quanto più è curioso un insegnante, tanto più lo studente riesce a scoprire la validità della curiosità.
Questo non succederà mai con un insegnante che ripete sempre le stesse cose e le stesse lezioni.
Un insegnante critico, aperto, vivo, che rifiuta la paralisi in programmi sempre uguali, è quello che trasmette allo studente il gusto per la domanda, per la ricerca, per la curiosità. Bisogna alimentare in se stessi la curiosità per provocare nello studente lo stesso desiderio.
Direi che questa è la prima grande virtù.
Senza la curiosità non c’è vita umana. Senza curiosità non c’è processo di conoscenza.

Ritengo che come educatori ed educatrici dobbiamo capire scientificamente cosa è la pratica educativa, la sua complessità e i suoi momenti.
In sintesi, ritengo che la pratica educativa ha un momento gnoseologico, che si riferisce all’atto di conoscere; ha un momento politico, che ne permea tutta la pratica; ha un momento estetico, che riguarda la bellezza di questa pratica; e ha un momento etico, che consiste nella dimensione morale dell’educazione.
Quindi è impossibile capire la natura della pratica educativa senza capire la teoria della conoscenza che è in essa coinvolta, così come i valori, la bellezza, la moralità di questa pratica.

Al video completo:

http://www.raiscuola.rai.it/articoli/paulo-freire-le-virt%C3%B9-dell%E2%80%98insegnante/3848/default.aspx?fbclid=IwAR1rHxPUjxfPqEDPw4xnubyaaQh_UWo9WVHu0pW1zr3gqwTVGa8fOzzVUhM

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